Risarcimento danni per rumori molesti: ci rientrano anche i lavori nel condominio

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Il risarcimento danni per rumori molesti: la normativa e il caso dell’ascensore

Quando parliamo di risarcimento danni per rumori molesti siamo sempre nell’ambito delle immissioni. Il nostro quadro normativo relativo alle immissioni rumorose è disciplinato principalmente dall’art. 844 del Codice Civile. Questo articolo prevede che il proprietario di un fondo debba astenersi da attività che, per loro natura, causino danni alla quiete degli immobili vicini, eccedendo la normale tollerabilità. La norma riguarda non solo le immissioni rumorose, ma anche quelle di fumo, calore, le esalazioni, gli scuotimenti e simili. In questo modo la legge impone un equilibrio tra il diritto del proprietario di godere del proprio fondo e il diritto del vicino a non subire disturbi eccessivi.

Nel caso affrontato dalla Corte d’appello di Firenze (sentenza n. 301 del 14 febbraio 2024) un condòmino aveva avviato un giudizio nei confronti dell’amministratore di condominio lamentando che nessun lavoro fosse stato fatto per ridurre il rumore provocato dall’ascensore condominiale. A fronte delle ripetute richieste che erano rimaste inascoltate, il condòmino chiedeva quindi che fosse accertato l‘intollerabilità delle immissioni rumorose per il superamento del limite di rumore e il risarcimento danni per rumori molesti (include danno patrimoniale e non patrimoniale).

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La giurisprudenza si orienta nell’inquadrare il risarcimento dani per rumori molesti come segue: “l’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni, sulla base di
nozioni di comune esperienza, senza che sia necessario dimostrare un effettivo mutamento delle proprie abitudini di vita“.

Il limite alla tollerabilità del rumore è stabilito proprio per garantire la tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Il procedimento giudiziario: la consulenza tecnica e il risarcimento dei danni (Corte App. Firenze)

Il condòmino che aveva avviato il giudizio per ottenere il risarcimento dei danni dal Condominio che non aveva fatto a suo dire i lavori più opportuni per ridurre le immissioni di rumore, aveva chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (ovvero la sofferenza patita a causa dei rumori).

Nel corso del giudizio viene svolta una CTU volta a determinare i decibel (db) di rumore causati dall’ascensore. L’appartamento dell’attore si trova al 5° piano e sopra di lui è installato il quadro di controllo. Il consulente rileva un livello di rumore intollerabile, ma rileva altresì che sono stati fatti dei lavori per sistemarlo, ma che quel rumore è stato determinato da errori di progettazione dell’edificio stesso negli anni ’70.

Poiché l’amministratore aveva svolto già i lavori, necessari per sistemare l’ascensore e il rumore che causava nei limiti del possibile, la Corte d’appello rigetta la richiesta di spostamento dell’ascensore dell’attore.

La Corte riconosce però che il risarcimento deve essere riconosciuto in quanto l’immissione di rumore è pacifica tra le parti.

Superato il limite di tollerabilità è dovuto il risarcimento anche del danno non patrimoniale (di sofferenza). Queste le parole della Corte: “essendo il vano servizi (dell’ascensore) posto al di sopra del soggiorno del suo appartamento (come comprovato anche dalla planimetria in atti), è ragionevole presumere che, stante l’entità del differenziale con il rumore di fondo (oscillante tra i 17 e gli 11,3 dB) rilevato dal c.t.u. (cfr. relazione peritale del (…) pag. 30), sia stato certamente compromesso l’esercizio di quelle attività normalmente esplicabili in tale ambiente (quali, a titolo esemplificativo, leggere, guardare la televisione, ascoltare musica, ecc.). Non può, invece, ritenersi che le immissioni abbiano pregiudicato anche il riposo notturno del P1 laddove si consideri che la camera da letto non è sottostante al vano ascensore (da cui risulta separata dal soggiorno), sicché è arduo ritenere che i rumori possano essersi propagati anche in tale stanza, tanto più in orario notturno quando l’uso dell’ascensore è, normalmente, maggiormente ridotto“.

I principi giurisprudenziali:

Recentemente, la Cassazione attraverso una serie di pronunce ha elaborato dei principi che hanno chiarito e delineato ulteriormente il quadro giuridico delle immissioni rumorose in centro cittadino e, quindi, del relativo risarcimento danni per rumori molesti.
Riporto qui di seguito alcuni dei più significativi e recenti orientamenti:

    • Principio di precauzione: questo principio si traduce nella possibilità che il Tribunale adotti, anche in assenza di una prova certa dei danni subiti, delle misure cautelari volte a prevenire ulteriori disturbi prima della definizione della causa.
    • Principio di territorialità: la valutazione della tollerabilità delle immissioni rumorose deve tener conto delle caratteristiche del luogo in cui si verificano. C’è differenza tra centro storico e una zona industriale.
    • Responsabilità dell’amministrazione locale: la Cassazione ha affrontato la questione della responsabilità dell’amministrazione locale nella concessione di autorizzazioni per locali commerciali o eventi rumorosi. In alcune sentenze (la più recente la n. 14209 del 23 maggio 2023) ha stabilito che l’amministrazione può essere ritenuta responsabile se non ha adeguatamente valutato l’impatto acustico di attività commerciali e non.

Il limite di tollerabilità

La Cassazione ha avuto modo di esprimersi numerose volte sul cd. “limite di tollerabilità” in modo da darne una attuazione concreta. E’ generalmente accettato il limite di 3 decibel oltre il rumore di fondo durante la notte (così ad es. Cass. civ., Sez. II, 29/10/2015, n. 22105; Cassazione Sezioni Unite n. 4848 del 27.2.2013).

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La stessa Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) si è più volte pronunciata sul tema provvedendo a: “ha sanzionato più volte gli stati aderenti alla convenzione, i quali – in presenza di livelli di rumore significantemente superiori a quello massimo consentito dalla legge – non avevano adottato misure idonee a garantire una tutela effettiva del diritto al rispetto della vita privata e familiare“. Da ciò ne deriva necessariamente che gli Stati Membri debbano adeguarsi a determinati standard di tutela del risarcimento danni per rumori molesti.

La recente ordinanza della Cassazione n. 25976/2023: il criterio comparativo

Anche se viene superata la soglia dei 3 decibel durante la notte, la Cassazione ha specificato che questo criterio non deve essere applicato rigidamente, ma seguendo un principio comparativo. Questo si traduce nella necessità di comparare il livello di rumore con le condizioni ambientali specifiche: principalmente il luogo in cui avviene e le abitudini degli abitanti della zona. Al fine di vedersi riconosciuto il risarcimento danni per rumori molesti la Cassazione non richiede che le persone che ricorrono dimostrino di aver subito uno stato di malattia, ma la lesione può essere dimostrata in via presuntiva. Tuttavia con questa pronuncia si è voluto ribadire che non ogni immissione di rumore benché superiore al limite convenzionalmente stabilito determina un obbligo al risarcimento del danno, questo dipende inevitabilmente dalla situazione specifica della zona individuata.

Come tutelarsi?

Fondamentale in questi tipi di giudizi è lo svolgimento di una perizia tecnica, di parte e d’ufficio. Dimostrare che il rumore supera il limite stabilito è fondamentale per poter procedere poi con la dimostrazione del danno. Per questo è possibile ricorrere a molteplici forme di tutela: si può avviare un ricorso per ATP per far “congelare” lo stato dei luoghi in una perizia tecnica prima del giudizio vero e proprio (che normalmente in Italia è lento). Questo procedimento è meno costoso di un giudizio e permette di essere forti nei confronti della controparte prima dell’avvio della causa per portare avanti trattative stragiudiziali.

E’ possibile poi fare ricorso alla mediazione civile, che è obbligatoria per le cause condominiali, che ha costi ridotti e permette di trovare un accordo stragiudiziale. Se questo è impossibile allora l’unica strada per procedere è avviare il giudizio avanti al Tribunale competente.

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