La sentenza Burdene della Corte di Giustizia sull’indennizzo da reati violenti C-126/2023

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La decisione della Corte di Giustizia sul risarcimento dei danni da reati violenti

Alla fine la sentenza è arrivata il 7 novembre e la Corte di Giustizia ha accolto le mie contestazioni su come la legge n. 122/2016 aveva attuato la Direttiva n. 2004/80: Corte di Giustizia causa C-126 2023 Burdene sentenza definitiva

La Corte ha detto anzitutto che la nozione di “vittima” non è ristretta alla sola persona che ha subito l’atto violento, ma si estende ai parenti prossimi, con queste parole: “L’articolo 17 della direttiva 2004/80, appartenente al capo III di tale direttiva relativo alle disposizioni di attuazione, consente quindi agli Stati membri, nell’attuare il loro sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, di estendere la categoria dei beneficiari di tale sistema a persone diverse dalle «vittime» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva. Occorre pertanto considerare che la nozione di «vittime», ai sensi di tale disposizione, a vantaggio delle quali gli Stati membri devono istituire, in forza di detta disposizione, un sistema nazionale di indennizzo, deve essere intesa nel senso che può includere le vittime indirette di un atto qualificato come reato intenzionale violento, quali i familiari stretti della persona deceduta a causa di tale reato, quando subiscono, di riflesso, le conseguenze di quest’ultimo“.

Aggiunge altresì che un ordinamento ben può graduare il diritto all’indennizzo tenendo conto dei rapporti tra vittima “principale” e vittime “secondarie”: “gli Stati membri possono, nell’esercizio del potere discrezionale di cui dispongono, decidere, al pari della Repubblica italiana nella presente causa, di istituire un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti che limiti il beneficio di tale sistema ai familiari stretti della persona deceduta, attribuendo peraltro priorità ad alcuni di questi familiari, quali il coniuge superstite e i figli, rispetto ad altri familiari, quali i genitori nonché i fratelli e le sorelle“, come in effetti dispone l’art. 11 della legge n. 122 del 2016.

Ma questa possibilità non può trascurare le eventuali sentenze già pronunciate, che abbiamo attribuito il diritto al risarcimento alle vittime: “il fatto di privare, per principio, taluni familiari di qualsiasi indennizzo dev’essere considerato inconciliabile con tali requisiti nel caso in cui, come nella controversia principale, un giudice penale abbia concesso a tali familiari un risarcimento danni, per giunta non trascurabili, per il pregiudizio subito a causa della morte della persona che ha subito un reato intenzionale violento, ma l’autore del reato non sia in grado, a causa della sua insolvenza, di pagare esso stesso tale risarcimento“.

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Il principio di diritto

La conseguenza è che “un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, dal quale sono escluse alcune vittime senza alcuna considerazione per l’entità dei danni da esse subiti, a causa di un ordine di priorità predefinito tra le diverse vittime che possono essere indennizzate, e fondato unicamente sulla natura dei vincoli familiari, dai quali vengono tratte semplici presunzioni quanto all’esistenza o all’entità dei danni, non può dare luogo a un «indennizzo equo ed adeguato», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80“.

Quali conseguenze?

Ora dovrà proseguire il processo di primo grado, sospeso in attesa di questa decisione, per attribuire l’indennizzo ai genitori ed alla sorella della donna uccisa, cui era stato negato nonché per rivalutare l’obolo che lo Stato ha attribuito ai figli. Infatti, spiega la Corte, “per essere considerato «equo ed adeguato» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, un indennizzo forfettario concesso a titolo di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti deve essere fissato tenendo conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e deve quindi rappresentare un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C-129/19, EU:C:2020:566, punto 69)“.

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