La responsabilità professionale del notaio secondo Cass. 9 aprile 2024 n. 9540

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Il principio generale: quale responsabilità professionale del notaio?

La Corte di cassazione, con l’ordinanza 9 aprile 2024, n. 9540, ha ribadito un principio che afferma da molto tempo, ovvero che:

il notaio incaricato della stipula di un contratto avente ad oggetto diritti reali su beni immobili non può limitarsi ad accertare la volontà delle parti e a sovrintendere alla compilazione dell’atto, essendo tenuto a compiere l’attività necessaria ad assicurare la serietà e certezza dei relativi effetti tipici, e, dal momento che contenuto essenziale della sua prestazione professionale è l’obbligo di informazione e consiglio”.

Si tratta di una massima che la stessa sentenza riporta a Cass., 15/02/2022, n. 4911, del 16/03/2021, n. 7283 e 12/06/2020, n. 11296.

Formulato in questi termini astratti il principio non è facilmente intelleggibile. Certamente il notaio deve evitare le nullità, altrimenti l’atto non raggiunge alcuno scopo. Certamente il notaio è tenuto alla trascrizione nei termini più rapidi possibili (art. 2671 c.c.), al fine di evitare che sopraggiungano iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli nelle more della formalità. Del pari il notaio deve consigliare le parti in modo da avere il miglior risparmio di imposte, beninteso legittimamente. Non è però chiaro cosa significhi “assicurare la serietà e certezza dei relativi effetti tipici” al di fuori di questo, perchè gli effetti degli atti giuridici sono regolati dalla legge (art. 1173, 1376, 2644 ecc.), non dal notaio.

Quanto al raggiungere “il risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse”, è bene ricordare che, nelle prestazioni professionali, siamo di fronte ad obbligazioni non governabili, termine che preferisco ad obbligazioni “di mezzi” (G. Sicchiero, Dalle obbligazioni “di mezzi e di risultato” alle “obbligazioni governabili o non governabili” in Contratto e impresa, 2016, pp. 1391-1421), che devono sì vedere all’opera la diligenza professionale media del notaio (art. 1176 c.c.) ma con il limite dei casi di particolare difficoltà (art. 2236 c.c.). E siccome non esiste un parametro obiettivamente verificabile della diligenza media (su questo ho scritto almeno 200 pagine nel Commentario Schlesinger-Busnelli, Dell’adempimento delle obbligazioni, Milano, 2016, sub art. 1176 c.c.), posso dire che è facile parlare con i piedi sotto la scrivania, poi le ipotesi devono essere verificate caso per caso.

I precedenti giurisprudenziali

I precedenti citati riguardavano:

  • la necessità di accertare l’esistenza di usi civici che rendano inalienabile il terreno (sez. III, 15/02/2022, n. 4911);
  • la verifica che la sentenza che accerta l’usucapione a favore del dante causa fosse passata ingiudicato (sez. III 16/03/2021, n. 7283, in quel caso era stata riformata poi da quella d’appello);
  • la necessità di effettuare visure che accertino la libertà dell’immobile da vincoli (sez. III, 12/06/2020, n. 11296).

Il caso di specie

Dunque, dovendosi verificare caso per caso, qui la questione derivava dal fatto che il venditore, che si era affermato pieno proprietario degli immobili che vendeva in base ad un titolo di 25 anni prima, aveva in realtà acquistato solo quote dei beni e dunque solo quelle poteva trasferire. E’ l’ovvio principio nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet. Né si poteva giungere ad una interpretazione difforme del precedente titolo, dove risultava chiaramente che non si fosse trattato di vendita dell’intera proprietà.

Dice la Cassazione che bene aveva giudicato la corte d’appello affermando che “la formulazione letterale dell’atto era talmente chiara che non era necessario, né possibile, andare a ricercare una eventuale diversa volontà delle parti, richiamando il canone in claris non fit interpretatio“.

Il notaio rogante è stato quindi condannato al risarcimento del danno verso l’acquirente, posto che la cassazione ha ritenuto irrilevanti gli indici che, secondo il notaio, dovevano indurre alla soluzione opposta. Questi indici consistevano nella precedente voltura catastale, nel pagamento dell’invim, nella presentazione di un ricorso tributario fatto dal dante causa, di un precedente pignoramento a suo carico, elementi che avrebbero dimostrato il corretto convincimento del notaio rogante, a che il venditore fosse effettivamente il pieno proprietario dell’intero compendio.

Secondo la terza sezione, “si tratta, in effetti, di condotte in buona parte non direttamente attribuibili alle parti dell’atto ma allo stesso notaio rogante dell’epoca (in particolare: la trascrizione e la voltura dell’atto) o a terzi (il pignoramento immobiliare)”. Aggiunge poi essere “altresì, agevole rilevare, in proposito che, nel dubbio, il notaio A.A. avrebbe potuto semplicemente verificare se la parte venditrice del contratto del 1979 (I.I.) aveva acquistato gli immobili di cui si controverte in virtù di un precedente atto regolarmente trascritto, sebbene anteriore al ventennio, o risultasse solo titolare delle quote dell’azione del consorzio, non potendosi ritenere limitate le verifiche cui egli era tenuto al solo atto di provenienza ultraventennale, laddove questo non fosse univoco, e ciò a maggior ragione, tenuto conto del fatto che, nel contratto di vendita del 1979, era espressamente indicato anche il titolo di provenienza in favore del venditore I.I.”.

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Irrilevanza della nota di trascrizione?

Ciò che colpisce, nella dichiarata irrilevanza da parte della cassazione di questi questi indici, è che includono anche la nota di trascrizione del precedente acquisto. Ormai sono decenni che la cassazione dice che, agli effetti dell’opponibilità dei trasferimenti, si è tenuti a verificare esclusivamente il contenuto della nota, senza dover esaminare gli atti. Cosi ad es. sez. II, 26/04/2024, n. 11213: “per stabilire se e in quali limiti un determinato atto relativo a beni immobili sia opponibile ai terzi, deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare, senza possibilità di equivoci ed incertezze, gli estremi essenziali del negozio ed i beni ai quali esso si riferisce, senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo che, insieme con la menzionata nota, viene depositato presso la conservatoria dei registri immobiliari”, seguita ad es. da sez. VI, 25/06/2019, n. 17026; sez. II, 19/02/2019, n. 4842 ecc.

Addirittura secondo sez. II, 18/01/2022, n. 1471, “in ipotesi di alienazione di un bene immobile unitamente ad una sua pertinenza senza alcuna menzione di quest’ultima nella nota di trascrizione, ove l’autore provveda ad una successiva alienazione del solo bene pertinenziale con tempestiva trascrizione, il secondo avente causa che non trovi trascritto l’acquisto dell’immobile pertinenziale contro l’alienante, ma trovi solo la trascrizione del bene principale, può avvalersi di questo difetto per fare prevalere il proprio acquisto limitatamente alla pertinenza, indipendentemente da ogni indagine sulla buona o malafede”. Dunque la nota di trascrizione è sufficiente ad escludere la colpa del notaio a patto, beninteso, che non abbia esaminato direttamente il titolo, perché se ciò risulta allora il notaio non può affidarsi alla nota sbagliata per superare il contenuto del titolo. Ma occorre dare la prova che abbia esaminato il titolo.

I limiti “sostanziali” della nota di trascrizione

C’è un caso in cui la nota di trascrizione non può tuttavia giustificare tutto quel che accade: quando includa beni che non sono stati oggetto di trasferimento. Non è un caso di scuola: sempre la Cassazione -sempre la terza sezione- ha condannato un notaio a risarcire i danni causati al proprietario, dall’errata inclusione di suoi beni in una nota a favore dell’avente causa che ne aveva acquistati altri. Siccome poi l’acquirente è stato pignorato, da ciò si è tratta la convinzione che il notaio rispondesse del pignoramento: 18 giugno 2018, n. 17054.

Questa sentenza, da me commentata in Giur. it., 2019, pag. 539 (Errori nelle note di trascrizione ed errori nelle sentenze sulla trascrizione), è frutto di un palese errore. Proprio perché nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet, il notaio poteva essere chiamato a rispondere solo verso il creditore procedente e solo nei limiti dei costi di un pignoramento inutile, giammai della perdita del bene, perché questo non può essere trasferito in forza della sola nota.

Il quadro D della nota di trascrizione

Ormai la cassazione ha chiarito che le risultanze di quanto eventualmente indicato nel quadro D sono inidonee a creare effetti aggiuntivi o diversi da quanto scritto nei riquadri da A a C, perché sono questi deputati a rendere opponibile il trasferimento e ad essere consultabili senza dover leggere tutta la nota. Con la sent. 16/10/2023, n. 28694 ha spiegato a chiare lettere che “non possono invece comprendersi nel “quadro D” elementi che devono inserirsi in altri quadri della nota (ovvero, per le servitù, gli immobili che costituiscono il fondo dominante, quelli che costituiscono il fondo servente e i soggetti che referenziano tali fondi)” e dunque, dal profilo della responsabilità, al notaio non può opporsi quanto è scritto solo nel quadro D.

Leggi anche: Quadro D della nota di trascrizione: non basta! La Cassazione cambia idea (n. 28694/23)

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