Il patto di famiglia secondo la Cassazione

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Patto di famiglia: gli orientamenti della cassazione

Il patto è stato affrontato dalla C.S. più volte ma ad oggi solo nelle decisioni della sezione tributaria, dovendo decidere quale tipo di imposta debba applicare.

Queste sentenze spendono moltissime parole per indicare quali siano elementi e fondamenti del patto, con obiter dicta che non rilevano ai fini del thema decidendum, in attesa che prima o poi tali questioni siano affrontate dalle altre sezioni.

Ma sono indicazioni condivisibili?

Causa del patto di famiglia

La giurisprudenza del S.C. non ha dubbi circa la sua “natura essenzialmente liberale e donativa” (ord. 19 dicembre 2018, n. 32823, Notariato, 2019, 162). E’ stato detto che “viene in considerazione il d. lgs. n. 346 del 1990, art. 58, comma 1, secondo cui “gli oneri da cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari”. Questa disposizione si attaglia alla fattispecie di cui all’art. 768 quater c.c., stante la natura non corrispettiva ma di onere (inteso quale peso gravante sull’azienda o partecipazione societaria trasferite, con decurtazione del relativo valore) attribuibile ex art. 793 c.c. all’obbligo dell’assegnatario di procedere alla liquidazione in denaro, ovvero in natura, dei legittimari non assegnatari. Sul piano dell’imposizione, pertanto, è considerata donazione non soltanto l’assegnazione dell’azienda, ma anche la (eventuale) liquidazione a favore dei non assegnatari (beneficiari individualmente determinati)” (ord. 19 dicembre 2018, n. 32823).

Che poi nelle donazioni l’onere sia previsto dal donante non è parsa una difficoltà perché si è qui configurata la nozione di onere “ex lege” (Ord. 19 dicembre 2018, n. 32823; sent. 24 dicembre 2020, n. 29506, Corr. giur., 2021, 910; ord. 17 giugno 2022, n. 19561).

Peraltro occorre evidenziarne anche la natura solutoria (sent. 24 dicembre 2020, n. 29506) ed in effetti l’autonomia e tipicità del patto è stata evidenziata, oltre che in una decisione più recente della sezione tributaria (Ord. 17 giugno 2022, n. 19561), anche dalla Corte costituzionale (Corte cost. 23 giugno 2020, n. 120).

Viene quindi segnalato che, con il patto, “l’imprenditore può operare una sorta di successione anticipata nell’impresa”(ord. 17 giugno 2022, n. 19561), sebbene poi il profilo donativo venga fatto riemergere, rilevandosi infine che “dal punto di vista funzionale, il patto di famiglia si colloca nell’ambito dei patti successori (art. 458 c.c.)” (ord. 17 giugno 2022, n. 19561).

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La partecipazione dei legittimari al patto

Un tema molto discusso in letteratura riguarda la presenza di tutti i legittimari in pectore al patto di famiglia, perché il legislatore qui ha creato scompiglio. L’indicazione per cui questi “devono partecipare” (art. 768-quater c.c.) ha diviso gli autori tra coloro che ritengono che l’assenza dall’atto ne comporti la nullità e coloro che, salvo il patto, ravvisano la loro tutela nel diritto di credito previsto dall’art. 768-sexies c.c. Appartengo fin dall’emanazione della novella al novero della seconda categoria, avendo tra l’altro già segnalato, tra le ragioni pratiche a latere di quelle tecniche che, diversamente optando, la conclusione del patto sarebbe soggetta ai ricatti dei non assegnatari (G. Sicchiero, commento all’art. 768-sexies c.c., in Il patto di famiglia, a cura di S. Delle Monache, Nuove leggi civ. comm., 2007, p. 83).

Ed infatti al Convegno 1° marzo 2024 presso il Coa di Vicenza organizzato da SuperPartes, Changes: il patto di famiglia. Dal passaggio al percorso generazionale di impresa il prof. (notaio) Giuseppe Trimarchi, nella relazione significativamente intitolata Prospettive causali e profili soggettivi del patto di famiglia (note a margine del contratto soggettivamente ricattatorio, ha raccontato appunto che un non assegnatario pretendeva una somma esorbitante in quanto era stato avvisato dal suo legale che altrimenti, non partecipando al patto, ne avrebbe impedito la conclusione.

Questi rilievi non convincono la Cassazione, per la quale il patto di famiglia “assume dunque carattere plurilaterale a partecipazione necessaria” (ord. 19 dicembre 2018, n. 32823; sent. 24 dicembre 2020, n. 29506) aggiungendo che la partecipazione di tutti i legittimari occorre “per il perfezionamento“ (sent. 10 marzo 2021, n. 6591) del contratto o anche che “tale partecipazione è necessaria, e non facoltativa“ (ord. 17 giugno 2022, n. 19561, Dir. prat. trib., 2023, 1436).

La soluzione continua a non convincermi, sia perché “rema contro” la necessità di agevolare i passaggi generazionali indicata dalla Commissione europea fin dal 1994, sia perché il diritto alle attribuzioni spettanti ai non assegnatari è disponibile, dato che possono rinunciarvi in tutto o in parte e quindi la nullità del patto a fronte dell’assenza di un non assegnatario è soluzione non condivisibile.

Insisto: per i legittimari che non abbiano partecipato al patto la tutela è quella del credito alle quote di pseudolegittima loro conferito dall’art. 768-sexies c.c. e quindi questa protezione non riguarda solo i sopravvenuti, quali un nuovo coniuge, che può essere anche quello attuale, ma tutti gli assenti.

La soluzione da adottare era stata segnalata fin da subito da C. Caccavale, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, Quaderni della Fondazione italiana del notariato, 2006, p. 10: di tratta di utilizzare il meccanismo che l’art. 1113 c.c. prevede per la divisione di beni immobili, nella quale i creditori -e tali sono i legittimari in pectore non assegnatari- “devono essere chiamati a intervenire“ all’atto di divisione e quindi, qui, alla stipula del patto (così racconta di aver fatto Giuseppe am Trimarchi).

In altre parole, secondo questa ipotesi, i legittimari noti devono essere convocati avanti al notaio, spettando a loro decidere se partecipare o meno; laddove non partecipino, il patto si potrà comunque stipulare e la somma loro spettante sarà accantonata per la successiva offerta reale. Ovviamente gli assenti potranno contestare la quantificazione dell’importo se non condividano le stime, ma non il patto in sé.

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Patto di famiglia verticale

Si tratta dell’ipotesi in cui le somme spettanti ai non assegnatari siano versate dal genitore anziché dall’assegnatario. La giurisprudenza è manifestamente contraria: “è infatti dirimente osservare come, con il patto di famiglia, l’imprenditore possa eccezionalmente produrre in via anticipata effetti attributivi e divisionali corrispondenti a quelli successori con esclusivo riguardo alla particolare tipologia di beni contemplata dall’art. 768 bis (aziende e partecipazioni societarie). Non altrettanto può affermarsi per tutti gli altri cespiti del suo patrimonio (o massa ereditaria che dir si voglia), in ordine ai quali il divieto di patto successorio non trova restrizione alcuna. Da ciò consegue che lo stesso denaro (o bene in natura) necessario alle quote di liquidazione non può che provenire dall’assegnatario, non già dal disponente” (ord. 19 dicembre 2018, n. 32823).

Così anche l’indicazione per cui “il patto di famiglia è tale solo se alla liberalità in favore del beneficiario si accompagna l’adempimento da parte di quest’ultimo dell’obbligo, previsto dalla legge, di effettuare il conguaglio in favore degli altri legittimari“ (ord. 17 giugno 2022, n. 19561).

Nello stesso senso si può annoverare l’indicazione per cui “il patto può riguardare esclusivamente l’azienda o le partecipazioni sociali dell’imprenditore. Non vi è spazio per ammettere un patto di famiglia che abbia ad oggetto le possibili altre voci che concorrono a formare il futuro relictum del disponente (il denaro, i crediti, la mobilia, gli immobili, ecc.), il quale, ove stipulato, ricadrebbe nel divieto sancito dall’art. 458 c.c.“ (ancora l’ord. 17 giugno 2022, n. 19561).

E così si dimentica di nuovo che la Commissione europea nella raccomandazione n. 94/1069 del 7 dicembre 1994 aveva avvisato che “uno degli ostacoli al buon esito della successione è costituito dalla difficoltà per i successori di finanziare il compenso per gli altri coeredi“, ostacolo cui il patto di famiglia verticale costituirebbe all’evidenza soluzione.

Esistono due modi di superare il problema: il più pratico è lasciare nelle casse societarie utili a sufficienza perché l’assegnatario liquidi gli altri soggetti ed il risultato è raggiunto.

Il secondo si articola in due meccanismi: dare vita ad un’espromissione del debito dell’assegnatario (non esercitando alcun regresso oppure, dopo qualche tempo, operando una remissione).

Il secondo che il disponente doni ai propri discendenti e al coniuge il denaro, mentre questi rinuncino ai conguagli all’interno del patto di famiglia. La donazione sarà poi soggetta a riduzione, certo, ma almeno nei limiti della disponibile si può aiutare l’assegnatario che non abbia liquidità per pagare gli altri.

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Liquidazione dei non assegnatari

Per la cassazione è pacifico l’obbligo dell’assegnatario di liquidare gli altri legittimari in pectore: “all’atto della stipula del patto di famiglia sorge, dunque, un diritto di credito dei futuri legittimari, cui corrisponde, specularmente, l’obbligo del discendente beneficiario di provvedervi subito (senza aspettare l’apertura della successione). In altre parole, in virtù del patto di famiglia, la quota di legittima è, per legge, convertita in un diritto di credito immediatamente esigibile“ e, perché non ci siano dubbi, viene sottolineata “la necessaria presenza del conguaglio in favore degli altri legittimari” (ord. 17 giugno 2022, n. 19561).

Ma non è così: i non assegnatari possono rinunciare in tutto o in parte alla pseudolegittima. Possono anche concordare che il pagamento avvenga con le modalità che preferiscono, a rate, in parte con denaro ed in parte con beni, mediante compensazione, mediante attività lavorativa ecc. E nulla vieta ai non assegnatari, se vogliano, di rimettere in tutto o in parte il debito anche se formalizzato nel patto.

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Asse dell’imprenditore disponente poi defunto

Secondo il S.C. i beni oggetto del patto di famiglia non si possono considerare all’interno dell’asse oggetto di successione al momento della morte del disponente: “il destinatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali deve, dunque, provvedere alla tacitazione dei non assegnatari mediante la corresponsione di una somma che, si badi bene, non soddisfa l’intera legittima, ma solo la porzione di essa che a ciascun legittimario spetterebbe sul singolo bene o sul complesso di beni oggetto di trasferimento che, stante l’efficacia immediata del patto, al momento dell’apertura della successione, non entreranno nel futuro relictum“ (sent.  24 dicembre 2020, n. 29506).

Con la conseguenza che “una volta aperta la successione, dunque, nei rapporti tra i legittimari sopra indicati, i beni trasferiti con il patto di famiglia (azienda o partecipazioni societarie) non solo non entrano a far parte del relictum, ma neppure vengono considerati ai fini della ricostruzione del donatum. La norma si riferisce sia al trasferimento in favore del beneficiario sia alla liquidazione in favore dei legittimari non assegnatari“ (sent.  24 dicembre 2020, n. 29506; ord. 17 giugno 2022, n. 19561).

Anzi, precisa la S.C., l’art. 769 quater “comma 4, stabilisce chiaramente che “quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione” e dunque, essendo sottratto alla collazione, non è neppure suscettibile di imputazione (art. 564 c.c.)” (sent.  24 dicembre 2020, n. 29506; ord. 17 giugno 2022, n. 19561).

Resta invece ammessa l’azione di riduzione per le lesioni di legittima diverse, nel senso che “all’apertura della successione ciascuno dei legittimari conserva la possibilità di esperire l’azione di riduzione sul restante patrimonio del de cuius” (sent.  24 dicembre 2020, n. 29506; ord. 17 giugno 2022, n. 19561).

Anzitutto l’art. 564 c.c. non è richiamato correttamente, perché questa indica che “ogni cosa, che, secondo le regole contenute nel capo II del titolo IV di questo libro, è esente da collazione, è pure esente da imputazione“; il patto di famiglia è regolato dal capo II bis del titolo IV e quindi non rientra in quell’esenzione,

Anzi, la conclusione è opposta: siccome il legislatore non ha esteso l’esenzione quando ha codificato il patto di famiglia, allora quanto attribuito con il patto è soggetto ad imputazione.

In più, le parole “i beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti“, contenute nel comma 3 dell’art. 768 quater c.c., indicano che la soluzione corretta è diversa da quella prospettata dalla cassazione. Infatti se l’attribuzione operata con il patto assumesse natura autonoma e separata dalla futura successione, quelle parole sarebbero del tutto inutili.

Diventano perfino assurde se si voglia dire che, pur trattandosi di assi separati, ciò che i non assegnatari ricevano in forza del patto vada imputato in conto della legittima determinata solo sulla base dell’asse residuo del disponente defunto.

Assumono invece significato se, al momento della morte, l’asse venga ricostruito unendo al relictum ed al donatum, anche il “pactum”: tutti dovranno imputare alla propria quota di legittima quanto già ricevuto, assegnatario compreso, con la sola specificazione che “quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione” (art. 768 quater, u.c., c.c.).

Così sì il patto di famiglia funziona: esentando da collazione e riduzione (ma non da imputazione) quanto ricevuto in vita, in modo da salvare le attribuzioni se, a conti fatti al momento della morte del disponente, risulti una lesione di legittima. Questo perché si può ipotizzare che in linea di massima -ma non più di così- i pagamenti operati al momento del patto abbiano tendenzialmente tacitato i diritti dei non assegnatari.

Tutelare i propri diritti e la propria eredità

Lo studio Ticozzi Sicchiero & Partners offre la propria assistenza anche in materia successoria e anche per la redazione del patto di famiglia.

Per evitare dispute legali è sempre una buona regola rivolgersi a un professionista per un parere legale. Nelle pratiche successorie sia che un testamento ci sia, sia che il parente sia defunto senza lasciare testamento la gestione dell’eredità è sempre complessa.

Se ciò non fosse sufficiente o qualora nascessero delle controversie è sempre possibile tutelare i propri diritti facendo ricorso alla mediazione civile. Una procedura obbligatoria che permette di raggiungere un accordo stragiudiziale che ha il valore della sentenza del tribunale.

Se l’accordo fallisse sarà poi sempre possibile avviare un giudizio ordinario.

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