Chi paga l’imposta di successione?

Indice:

Eredità ed imposta di successione

Quando qualcuno muore il suo patrimonio (l’eredità) è destinato ad alcuni soggetti scelti con il testamento o, in mancanza, indicati dalla legge.

Con il testamento non si è però liberi di destinare i propri beni a proprio piacimento, in quanto vi sono limiti posti dal codice civile: ad alcuno spetta necessariamente una quota dell’eredità stessa (sono i “legittimari”).

Non è invece erede colui al quale sia destinato uno specifico bene: questo è il legatario, sebbene possano nascere problemi interpretativi circa questa designazione (art. 588 c.c.).

Tuttavia anche il legatario è tenuto all’imposta di successione in relazione a quanto riceva.

In ogni caso è obbligatorio presentare entro 1 anno dalla morte la dichiarazione di successione ed a pagare allo Stato l’imposta di successione qualora non si tratti delle ipotesi in cui vi sia esenzione da tale imposta; il tutto è regolato dal decreto legislativo n. 346 del 1990.

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Rinuncia all’eredità ed imposta di successione

Il testo unico delle imposte sulle successioni e donazioni esenta dall’imposta di successione chi rinunci all’eredità, il che è ovvio perché manca il c.d. presupposto di imposta.

E’ però necessario fare molta attenzione: non è possibile rinunciare se vi sia stata una precedente accettazione!  Quindi dovrà pagare l’imposta di successione anche chi rinunci in modo errato, tenendo conto che l’accettazione dell’eredità può avvenire sia in modo espresso, con  una dichiarazione, sia in modo tacito, cioè con quei comportamenti che fanno presumere la volontà di accettare.

Ad es. colui al quale spetti l’eredità, che il codice qualifica “chiamato” e che sia in possesso anche di un solo bene ereditario, diventa erede se entro tre mesi dalla morte della persona della cui eredità si tratti, non rinunci. In alternativa può accettare l’eredità con beneficio d’inventario, seguendo l’apposita procedura che deve almeno iniziare entro tre mesi, salve specifiche proroghe.

In questo caso sarà tenuto all’imposta di successione nei limiti del valore dei beni che gli giungono.

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Quando vi è un’eredità chi paga l’imposta di successione?

L’art. 7, comma 4, del d. lgs. n. 346/1990 equipara esplicitamente i chiamati agli eredi stabilendo che “fino a quando l’eredità non è stata accettata, o non è stata accettata da tutti i chiamati, l’imposta è determinata considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato“.

Dunque sembrerebbe che, nei confronti dello Stato, anche il chiamato sia tenuto a presentare la dichiarazione e a pagare l’imposta. Questo specie perché l’art. 36, comma 3, aggiunge che “fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti“.

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Cosa dice la Corte di cassazione?

La corte di cassazione ha detto però che le cose stanno diversamente, da ultimo con la sentenza 17 luglio 2018, n. 19030, che ha preso spunto dal fatto che la norma si riferisce al chiamato che possieda beni del defunto e non ai chiamati che non li possiedono, ai quali dunque lo Stato non può chiedere il pagamento dell’imposta di successione.

In tale sentenza, inoltre, la corte di cassazione richiama anche la Circolare ministeriale n. 17 del 15 marzo 1991, nella quale, proprio commentando il citato art. 36, si afferma che “fino all’accettazione dell’eredità, chi non è in possesso di beni ereditari non deve rispondere dell’imposta e chi ne è possessore non deve risponderne oltre il limite del valore dei beni posseduti“.

Questa sentenza ha infine ribadito il principio che era già stato affermato dalla precedente decisione n. 8053 del 29 marzo 2017, secondo la quale in ipotesi di debiti del defunto di natura tributaria “l’accettazione dell’eredità è una condizione imprescindibile affinchè possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a risponderne. Non può ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all’eredità, ai sensi dell’art. 519 c.c.

La presentazione della dichiarazione di successione fa accettare l’eredità?

Chi presenti la dichiarazione di successione non accetta automaticamente l’eredità per tale unica ragione e non è quindi tenuto a pagare l’imposta di successione.

Lo si ricava dal testo unico delle imposte ipotecarie e catastali, il cui art. 5 dice che “la trascrizione del certificato [di successione] è richiesta ai soli effetti stabiliti dal presente testo unico e non costituisce trascrizione degli acquisti a causa di morte degli immobili e dei diritti reali immobiliari compresi nella successione”.

Quindi se la trascrizione della dichiarazione di successione non fa acquistare la qualità di erede, a maggior ragione non la si acquista per la semplice presentazione della dichiarazione di successione.

Lo ha poi confermato coerentemente la ricordata sentenza della Cassazione n. 8053 del 29 marzo 2017: la sola presentazione della dichiarazione di successione “non ha alcun rilievo ai fini dell’accettazione dell’eredità“.

In questi casi, allora, non è dovuta l’imposta di successione.

E la voltura catastale?

C’è però un problema in più: secondo la corte di cassazione se alla dichiarazione di successione segue la voltura catastale, allora si diventa eredi.

Lo ha detto chiaramente Cass., 14/4/2022, n. 12259: “A differenza della mera denuncia di successione, che ha valore esclusivamente fiscale, la voltura catastale ha invece rilievo sia agli effetti civili che a quelli catastali, ed è atto idoneo ad integrare un’accettazione tacita dell’eredità. Pertanto, deve considerarsi erede colui che ha effettuato la voltura al Catasto dei beni del de cuius a proprio favore“.

Ovviamente chi chiede la voltura catastale non fa diventare eredi gli altri chiamati, la dichiarazione vale solo per lui, chi accetta lo fa solo per se stesso.

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Eredità ed imposta di successione: altre questioni complesse

Queste indicazioni necessitano di approfondimenti che qui non possono trovare spazio, ad es. su quali siano i comportamenti che fanno acquistare tacitamente la qualità di erede, cosa accada al coniuge che vive nella casa dove abitava il coniuge defunto se passino tre mesi dalla morte, cosa accade se il chiamato all’eredità sia un minore o un incapace che si trovi in possesso di beni ereditari e così via.

S0no questioni difficili e se si sbaglia a comportarsi i rischi sono molti, tenuto conto di termini alle volte brevissimi.

Sono a vostra disposizione per approfondire tematiche di questo tipo contattandomi ai miei recapiti di studio.

Tutelare i propri diritti e la propria eredità

Lo studio Ticozzi Sicchiero & Partners offre la propria assistenza anche in materia successoria.

Per evitare dispute legali è sempre una buona regola rivolgersi a un professionista per un parere legale. Nelle pratiche successorie sia che un testamento ci sia, sia che il parente sia defunto senza lasciare testamento la gestione dell’eredità è sempre complessa. E’ possibile anzitutto fermare la decadenza e la prescrizione dei propri diritti con una formale diffida ad adempiere.

Se ciò non fosse sufficiente o qualora nascessero delle controversie è sempre possibile tutelare i propri diritti facendo ricorso alla mediazione civile. Una procedura obbligatoria che permette di raggiungere un accordo stragiudiziale che ha il valore della sentenza del tribunale.

Se l’accordo fallisse sarà poi sempre possibile avviare un giudizio ordinario.

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