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La massima approvata dal consiglio notarile di Milano
Il Consiglio notarile di Milano il 7 gennaio 2020 ha approvato la seguente massima societaria (n. 186) relativa alla clausola anti diluizione del capitale sociale:
“Sono legittime le clausole statutarie di s.p.a. o di s.r.l. che prevedono l’obbligo, in caso di futuri aumenti di capitale sociale a pagamento, con o senza diritto di opzione, di assegnare gratuitamente un determinato numero di azioni o quote di nuova emissione a favore dei titolari di una categoria di azioni o quote (o a favore di uno o più singoli soci di s.r.l.), allorché detti aumenti di capitale siano deliberati a un prezzo inferiore all’importo stabilito dalla clausola stessa, al fine di evitare la diluizione del valore delle azioni o quote della categoria protetta anche qualora i relativi titolari non partecipassero ai nuovi aumenti.
Resta ferma la necessità, come in ogni caso di assegnazione non proporzionale delle azioni o delle quote ai sensi degli artt. 2346, comma 4, e 2468, comma 2, c.c., che l’ammontare totale dei conferimenti effettuati dai sottoscrittori diversi dai titolari della categoria protetta sia almeno pari all’ammontare dell’aumento di capitale effettivamente sottoscritto.
Il diritto di vedersi assegnato gratuitamente un numero di azioni o quote di nuova emissione, di compendio del nuovo aumento di capitale, senza effettuare nuovi conferimenti, per un ammontare tale da conseguire l’effetto anti-diluitivo, può costituire un “diritto diverso” che connota una categoria di azioni o di quote ai sensi degli artt. 2348 c.c. o 26, comma 2, d.l. 179/2012 (o che si aggiunge ad altri diritti diversi della categoria “protetta”) oppure un “diritto particolare” ai sensi dell’art. 2468, comma 3, c.c.”.
Seguono poi un’ampia spiegazione ed una corposa indicazione di letteratura favorevole o meno alle clausole anti diluizione.
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La motivazione dell’approvazione
La clausola anti diluizione è spiegata così:
“Nel contesto di iniziative imprenditoriali che vedono la partecipazione, in tempi e con prospettive temporali differenti, di una pluralità di soggetti in qualità di fornitori di capitale di rischio, le parti possono avvertire l’esigenza di disciplinare le rispettive posizioni anche rispetto a future operazioni sul capitale. Un esempio di tale esigenza è rappresentato dalla clausola che riconosce a un socio il diritto di non vedersi “diluito” nella propria partecipazione al capitale sociale qualora in futuro venissero deliberati aumenti di capitale a pagamento, anche se offerti in opzione, a un prezzo inferiore a una determinata soglia (c.d. “clausola anti diluizione”). Più precisamente, l’esigenza di proteggere il proprio investimento per il tramite di una clausola anti diluizione può sorgere nei casi in cui un investitore sottoscriva una quota di minoranza ad un prezzo di sottoscrizione basato su di una certa stima del valore della società. In tali circostanze, ben può accadere che, più avanti nel tempo, la società avverta l’esigenza di deliberare aumenti di capitale ad un prezzo di emissione che implichi una valorizzazione della società inferiore rispetto a quella posta a base dell’investimento del socio di minoranza. Ecco dunque il profilarsi di due interessi contrapposti: da un lato, quello della maggioranza, ad essere libera di deliberare ulteriori aumenti di capitale, con o senza opzione, a prezzi eventualmente anche inferiori a quelli che deriverebbero dalla valorizzazione a suo tempo posta a base per l’ingresso del socio di minoranza; dall’altro, quello del socio di minoranza a mantenere intatta la propria partecipazione o almeno il suo valore prospettico, anche a prescindere dalla partecipazione al nuovo aumento di capitale. La funzione della clausola anti diluizione è proprio quella di contemperare tali contrapposte esigenze.
La prima parte della massima indica le modalità con cui tale clausola può trovare spazio nello statuto sociale, così consentendo al socio “protetto” di beneficiare della tipica protezione statutaria. Tali modalità consistono in una clausola statutaria che preveda che, in caso di aumento di capitale a un prezzo inferiore alla soglia predeterminata, le partecipazioni del socio “protetto”, per le quali non dovesse essere esercitato il diritto di opzione o sottoscrizione, possano evitare di essere diluite rispetto al capitale sociale post aumento, mantenendo invariato il relativo valore, per mezzo dell’emissione di nuove azioni o quote a favore dei relativi titolari, senza ulteriori conferimenti. L’osservazione della prassi indica che il numero di azioni o quote da emettere potrà essere tale da pareggiare, di fatto, il prezzo di sottoscrizione del socio “protetto” con quello previsto dal nuovo aumento di capitale (c.d. clausole “full ratchet anti-dilution”), oppure tale da equilibrare il prezzo di sottoscrizione del socio “protetto” con quello previsto dal nuovo aumento di capitale (c.d. clausole “weighted average anti-dilution”).
La legittimità di una clausola che riconosca ai soci “protetti” la facoltà di vedersi assegnare gratuitamente azioni o quote nel contesto di un aumento a pagamento si giustifica considerando che tale clausola, sostanzialmente, predetermina statutariamente una ipotesi di assegnazione non proporzionale di azioni o quote ai sensi degli artt. 2346, comma 4, e 2468, comma 2, c.c. Infatti, ciò che accade nel contesto dell’aumento di capitale a pagamento che attiva la clausola anti diluizione è che, appunto, i soci sottoscrivono azioni o quote in via non proporzionale rispetto ai conferimenti effettuati. Si tratta invero di una non proporzionalità “estrema” perché i soci “protetti” sottoscrivono azioni o quote pur nulla conferendo. La massima, pertanto, accede alla interpretazione dottrinale (prevalente ma non pacifica) che, in relazione ai conferimenti non proporzionali, considera appunto legittime non solo le ipotesi in cui tutti i soci sottoscrittori di azioni o quote effettuino un qualche conferimento, sia pure non proporzionale, ma anche le ipotesi in cui vi siano alcuni soci che non effettuino conferimenti di alcun tipo.
La tesi permissiva viene qui ritenuta preferibile per almeno due ordini di considerazioni: da un lato, il dato normativo non contempla alcun limite alla misura della non proporzionalità delle sottoscrizioni, e, dall’altro lato, si tratta di vicenda che riguarda pur sempre rapporti interni tra soci, non essendovi dunque alcun interesse di soggetti terzi da proteggere. Il fatto che l’operare della clausola anti diluizione dia luogo ad una ipotesi di sottoscrizione non proporzionale implica naturalmente il necessario rispetto della disciplina codicistica già richiamata: pertanto, l’ammontare totale dei conferimenti effettuati dai sottoscrittori dell’aumento di capitale deve risultare almeno pari all’ammontare dell’aumento di capitale medesimo, tenendo dunque anche conto delle nuove azioni o quote da emettere a favore del socio “protetto”. Con particolare riferimento alla società per azioni, tale limite non pone particolari criticità se le azioni sono prive di valore nominale espresso (potendosi in tal caso emettere, a fronte dei conferimenti, un numero di azioni maggiore di quello che risulterebbe dall’applicazione della parità contabile ante aumento), mentre in presenza di azioni con indicazione del valore nominale impone la determinazione di un sovrapprezzo (a carico dei sottoscrittori diversi dal socio “protetto”) almeno pari al valore nominale delle azioni da assegnare gratuitamente appunto al socio “protetto”. Da ultimo, la massima (in continuità con quanto già indicato dalle Massime n. 73 e 126 per altri diritti amministrativi e patrimoniali) precisa che l’individuazione dei soci “protetti” avrà luogo, nelle s.p.a., per il tramite di categorie speciali di azioni (potendo rappresentare l’unica, ovvero una delle, caratteristiche di categoria), e nelle s.r.l. per il tramite di categorie speciali di quote ai sensi dell’art. 26, comma 2, d.l. 179/2012 o per il tramite di diritti particolari ai sensi dell’art. 2468, comma 3, c.c.”.
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L’aumento di capitale a valore ridotto: un effetto (quasi) fisiologico della clausola antidiluizione
Un tema rimasto sullo sfondo della motivazione è la ragione per cui un socio di minoranza non partecipi all’aumento di capitale sociale a costi ridotti. Infatti se il socio di minoranza sottoscrive l’aumento, quale che sia il suo prezzo, la sua quota non si diluisce affatto, restando proporzionalmente uguale. La sua quota diminuisce solo se non sottoscrive l’aumento o se lo sottoscrive in misura non proporzionale alla sua quota e quindi le ragioni della mancata sottoscrizione non sono indifferenti e vanno analizzate separatamente.
La clausola anti diluizione sopra delineata può svolgere, in tesi, la funzione di proteggere i soci di minoranza che, non aderendo ad un aumento di capitale sociale a determinati valori, vedano ridotta la proporzione della loro partecipazione al capitale sociale.
Una tale operazione potrebbe in effetti trasformarsi in un sistema predatorio del valore del patrimonio netto che si riferisce alla partecipazione del socio di minoranza non sottoscrittore, dato gli altri soci potrebbero aumentare la propria quota di partecipazione al capitale sociale a costi molto convenienti, godendo dell’effetto che si produce rispetto alla quota di patrimonio netto riferibile pro quota alla loro partecipazione.
Il tema che interessa il civilista è quello del fondamento della clausola anti diluizione non tanto in relazione all’interesse sociale, rispetto al quale è neutra, ma alla nozione di causa del contratto, che deve giustificare anche il trasferimento delle partecipazioni tra soci derivante dalla clausola anti diluizione.
Quale è infatti l’interesse protetto del socio sottoscrittore, obbligato a trasferire al socio non sottoscrittore una parte delle partecipazioni senza ricevere alcun corrispettivo?
Va esclusa all’evidenza una causa donandi, anche se la motivazione dice che “la posizione del socio non conferente non è sostanzialmente diversa da quella del donatario della partecipazione, donata dopo la sua integrale “liberazione” ad opera del donante”; quella è la posizione del socio protetto, non del socio tenuto a proteggerlo e semmai il problema che questa indicazione pone è quello dell’arricchimento senza causa vietato dall’art. 2041 c.c.
A ben vedere, infatti, manca proprio un interesse diretto del socio sottoscrittore: difettando infatti qualsivoglia corrispettivo ed avendo sottoscritto con denaro proprio quell’aumento di capitale anche per la quota da trasferire al socio protetto, il suo interesse, semmai, è di tenere per sé tutte le partecipazioni sottoscritte. Al limite un possibile interesse si potrebbe in qualche modo ricavare se si prevedesse l’obbligo di trasferirle all’altro, mantenendo però il credito per l’importo di sottoscrizione, magari diluito nel tempo; la massima parla però di trasferimento gratuito senza limiti.
Possiamo tuttavia individuare nella clausola una funzione di garanzia contro gli aumenti di capitale deliberati con intento predatorio: una sorta di fideiussione della maggioranza contro i propri comportamenti. Sulla possibilità di creare garanzie atipiche la regola di riferimento è l’art. 1179 c.c. (su cui v. Sicchiero, Dell’adempimento delle obbligazioni, nel Commentario al codice civile Schlesinger Busnelli, Milano, 2016, sub art. 1179 c.c.).
La funzione protettiva della clausola è stata però descritta nella motivazione a prescindere da qualsiasi ragione posta a base della decisione del socio di minoranza, di non sottoscrivere l’aumento di capitale sociale che avvenga a quei valori.
Può dunque certamente accadere che la delibera di aumento di capitale sociale venga presa approfittando di un momento di difficoltà finanziaria della minoranza ed a prescindere da qualsiasi utilità per la società.
Qui la clausola evita di dover ricorrere all’intervento del giudice per bloccare la delibera, essendo poi molto difficoltosa la prova della mala fede e dell’abuso della maggioranza.
Di fronte ad una clausola di questo tipo la maggioranza non riuscirebbe quindi a realizzare un intento predatorio aumentando il capitale sociale a costi ribassati.
Però non è una difesa insuperabile: se c’è la difficoltà economica della minoranza, in presenza di quella clausola la maggioranza delibererà un aumento ad un prezzo di un euro superiore alla soglia fissata e qui la minoranza sarà in difficoltà a proteggersi, perché sarà ben facile rispondere che la protezione statutaria è data per i “prezzi bassi”, non per quelli superiori.
Insomma, se il problema è di difendere la minoranza dalla diluzione predatoria, non è detto che quel meccanismo sia davvero il migliore.
Ma quella non è comunque l’unica ipotesi.
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La funzione patologica della clausola antidiluizione
La stessa funzione di garanzia svolta dalla clausola anti diluizione non si può invece ricavare allorchè difettino ragioni patologiche che spingano la maggioranza a deliberare un aumento di capitale sociale a costi ribassati.
Qui emerge anzi il rischio che la clausola anti diluizione protegga invece a titolo gratuito l’opportunismo della minoranza, che attenda a mani aperte le assegnazioni gratuite.
A fronte di manovre predatorie quale quella sopra descritta, possono infatti sussistere ipotesi in cui un aumento di capitale sociale a “prezzi scontati” rappresenti una necessità per la società.
Sono infinite le ipotesi della vita che possono colpire il patrimonio sociale: la nullità di un brevetto, il cambiamento della politica regionale sulla grande distribuzione, una variante di piano regolatore che trasforma un’area da edificabile ad inedificabile, un’opera pubblica che comporta un esproprio e così via.
Qui vi sarà allora una perdita del valore del valore del patrimonio che colpisce tutti i soci e che può rendere necessario un apporto di capitale fresco a condizioni che, all’evidenza, per forza non potrebbero essere quelle del passato, perché la società vale di meno.
Ma se questo accade, il socio di minoranza può tranquillamente lasciar fare agli altri soci: la clausola anti diluizione si trasforma, per lui, in un’assicurazione contro i rischi della vita, perché ad ogni aumento di capitale sociale a prezzi inferiori a quelli indicati nella clausola, riceverà gratuitamente le partecipazioni che non sottoscriverà.
Questo mi sembra legittimare un trasferimento nullo per mancanza di causa, dovuto ad una clausola nulla perché impone ad un socio di spogliarsi gratuitamente di una propria ricchezza senza un interesse meritevole (art. 1322 c.c.).
In queste ipotesi, infatti, non si può più nemmeno parlare di capitale di rischio riferendosi agli apporti della minoranza, che non rischia proprio nulla perché pagano gli altri, sebbene le condizioni economiche della società impongano determinate operazioni perché la stessa possa continuare la propria attività.
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E i terzi?
La motivazione favorevole alla clausola anti diluizione dice che “si tratta di vicenda che riguarda pur sempre rapporti interni tra soci, non essendovi dunque alcun interesse di soggetti terzi da proteggere“, sebbene abbia rilevato nel contempo che “la posizione del socio non conferente non è sostanzialmente diversa da quella del donatario della partecipazione, donata dopo la sua integrale “liberazione” ad opera del donante”.
In realtà con l’attribuzione di partecipazioni a titolo gratuito ai soci non sottoscrittori, i terzi che possono avere da ridire sono i creditori del socio ed i suoi legittimari.
Dal loro punto di vista, infatti, il socio di maggioranza trasferirà a titolo gratuito partecipazioni da lui sottoscritte e liberate che altrimenti (cioè in assenza della clausola), sarebbero rimaste nel suo patrimonio.
Questo trasferimento non ha nemmeno natura di donazione, perché è obbligatorio e quindi non è caratterizzato neanche da una effettiva causa donandi.
Dunque (e comunque) questa attribuzione non è neutra per taluni terzi e ben può essere che, concretamente parlando, intacchi le loro aspettative.
Per quanto derivante da una clausola statutaria, un’operazione del genere ben può essere oggetto di azione revocatoria ordinaria; infatti la legittimità teorica dell’attribuzione non la sottrae dalla tutela concessa ai terzi, così come la costituzione di un fondo patrimoniale, pur legittima, viene privata di efficacia quando sottragga ai creditori le loro garanzie.
E’ vero certamente che il socio di maggioranza resta titolare delle partecipazioni di maggioranza, ma da un lato non è detto che bastino a soddisfare i creditori –la clausola in esame opera anche se le quote siano 51 e 49%- e dall’altro, con un po’ di accortezza, si possono creare ad arte meccanismi di spostamento gratuito di ricchezza a favore di una minoranza compiacente, spogliandosi poi delle quote di maggioranza o creando vincoli sulle stesse per impedire ai terzi (o al legittimario da diseredare) di trovare ancora qualcosa di valore nel patrimonio del socio di maggioranza.
Non serve poi un mago della finanza per immaginare una srl costituita inizialmente senza grandi apporti di capitale, attribuendo il 49% al figlio preferito o a chiunque si voglia beneficiare (pure un non legittimario evidentemente), inserendo in statuto una clausola anti diluizione con soglia alta, deliberare poi una serie di aumenti di capitale sociale pagati al 100% dal socio di maggioranza ma con beneficio del 49% a quello di minoranza; magari consentendo la sottoscrizione con beni in natura, così si può conferire in società la casa di famiglia o altro.
Quindi, volendo, per far avere la maggioranza delle partecipazioni al beneficiato basterà deliberare un piccolo aumento di capitale sociale che il socio di maggioranza non sottoscriverà ed il gioco è fatto.
Naturalmente si può dire che il legittimario leso nella sua quota di riserva possa agire in riduzione, data la gratuità dell’attribuzione, anche se questa non sia attratta nell’orbita delle liberalità regolate dall’art. 809 c.c., perchè dove c’è obbligo difetta la liberalità, ma dove c’è gratuità ingiustificata, difetta allora la causa dell’attribuzione (art. 2041 c.c.).
Infatti sono convinto che il legittimario del socio di maggioranza non possa venir leso dai trasferimenti che avvengano in ragione della clausola anti diluizione.
Se poi si insiste sulla gratuità del trasferimento non sorretto da causa donandi né da un interesse diretto del trasferente, il tema della nullità del trasferimento per mancanza di causa è tutt’altro che superato dalla semplice regola del codice che legittima la previsione statutaria di attribuzioni non proporzionali delle quote sottoscritte.
Il codice non ha infatti legittimato le attribuzioni totalmente gratuite, ma quelle non proporzionali e dire che “il dato normativo non contempla alcun limite alla misura della non proporzionalità delle sottoscrizioni“ per includervi anche quelle totalmente gratuite, a mio modo di vedere significa trascurare il principio di causalità delle attribuzioni di cui il nostro codice è pervaso.
Ma questo è il punto di vista del civilista.
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