Fondazioni di partecipazione: questioni in tema di statuto

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Le fonti

Traggo il materiale di questo articolo da due studi: G. Sicchiero, Le fondazioni di partecipazione, in Contratto e impresa, 2020, pp. 19 ss nonchè G. Sicchiero, Lo scopo delle fondazioni, in AA.VV. Le fondazioni di partecipazione, a cura di G. Sicchiero, in Giur. it., 2021, pp. 2513 ss. ( e in

Nei primi mesi del 2024 uscirà per Giuffré un volume, che ho curato assieme a colleghi docenti universitari ed amici notai, che approfondirà il tema delle fondazioni di partecipazione in circa 400 pagine.

E’ noto che le fondazioni di partecipazione sono una sorta di ibrido tra fondazione ed associazione, perché pur denominate nel primo senso, sono munite di assemblea (accanto ad altri eventuali organi come i revisori contabili o i probiviri). Hanno poco più di 25 anni di vita (la prima pare sia del 1996) e nessuno ne ha mai contestato l’ammissibilità, che comunque troverebbe legittimazione fin dalla configurazione delle fondazioni bancarie, che appunto prevedono questo organo.

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Le fondazioni di partecipazione regolate dal codice del terzo settore

Il codice del terzo settore (d. lgs. n. 117 del 2017), pur non nominandole, contempla le fondazioni di partecipazione; infatti prevede ad es. al comma 6 dell’art. 24 che “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche alle fondazioni del Terzo settore il cui statuto preveda la costituzione di un organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato, in quanto compatibili ed ove non derogate dallo statuto“. Il problema consiste quindi nell’accertamento della volontà del fondatore (che in punto di fatto sarà per lo più costituito da un insieme di soggetti che danno vita alla fondazione di partecipazione), che peraltro non potrà derogare alle norme imperative del c.t.s., ad es. quelle che fissano “i principi di democraticità, pari opportunità ed uguaglianza degli associati e di elettività delle cariche sociali” (art. 23, comma 2).

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Si possono costituire fondazioni di partecipazione esterne al codice del terzo settore?

La letteratura è concorde nel ritenere che sia una facoltà –e non un obbligo- avvalersi dei vantaggi concessi dall’iscrizione nel registro unico degli enti del terzo settore. Quindi si potrà dar vita ad una fondazione di partecipazione regolata solo dal codice civile e dal d.p.r. n. 361/2000 nonché dalle disposizioni regionali ove la fondazione operi solo in ambito regionale. Il problema consiste nelle eventuali disposizioni statutarie che attribuiscano all’assemblea (o anche agli amministratori) competenze a proposito della modifica dello statuto o, quanto alla prima, la scelta degli amministratori. Qui vi sono due teorie: una molto autorevole (Zoppini) ritiene che se la nomina degli amministratori spetti all’assemblea, allora la fondazione non sarebbe più tale e dovrebbe essere qualificata come associazione.

La mia è invece nel senso che la nomina  potrebbe produrre effetti immediati, valendo come proposta alle autorità indicate dall’art. 25 c.c. che devono provvedere alla nomina. Preferisco questa soluzione perchè non intacca la natura dell’ente; in altre parole tutela maggiormente la volontà del fondatore.

Peraltro laddove la facoltà di nomina sia prevista dallo Statuto, allora la delibera sarà certamente valida, salvo eventuale annullamento, perché l’approvazione originaria dello Statuto, dove la volontà del fondatore è contenuta, rende appunto valida l’attribuzione della competenza all’assemblea.

Fondazioni di partecipazione e nuovo codice degli appalti

E’ necessario evidenziare un limite alla partecipazione di enti pubblici a fondazioni che abbiano ad oggetto l’esecuzione di opere o anche la prestazione di servizi. Ad es. la Fondazione Milano-Cortina 2026, realizzata per l’esecuzione di talune attività inerenti le prossime Olimpiadi, include anche la vendita dei biglietti per le manifestazioni sportive. Direi che questa è una tipica attività di servizi per una manifestazione pubblica.

Orbene l’art. 13 del d. lgs. n. 36/2023 indica che “Le disposizioni del codice si applicano ai contratti di appalto e di concessione“. Inoltre il comma

Ancora: in base all’art. 1, comma 1, lett. e) dell’all. 1.1 al Codice degli appalti, è:

e) «organismo di diritto pubblico», qualsiasi soggetto, anche avente forma societaria:

1) dotato di capacità giuridica;
2) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, attraverso lo svolgimento di un’attività priva di carattere industriale o commerciale;
3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico;

E dunque occorre fare molta attenzione a non creare, con la veste della fondazione di partecipazione, un soggetto del tutto diverso, qualora partecipino enti pubblici che operino come indica il n. 3 della predetta disposizione. Si dice infatti che “l’elemento fondante dell’organismo di diritto pubblico è riconducibile alla rilevanza degli interessi generali perseguiti, in rapporto ai quali non può venire meno una funzione amministrativa di controllo, anche qualora la gestione fosse produttiva di utili: è propria dell’amministrazione, infatti, la cura concreta di interessi della collettività, che lo stato ritiene corrispondenti a servizi da rendere ai cittadini e che pertanto, ove affidati a soggetti esterni all’apparato amministrativo vero e proprio, debbono comunque rispondere a corretti parametri gestionali, anche sul piano dell’imparzialità e del buon andamento”: C. Stato, sez. VI, 10-12-2015, n. 5617, Foro amm., 2015, 3096. Di qui la necessità di verificare se per la realizzazione dello scopo sia necessario esperire gare d’appalto, per non rischiare la nullità degli atti relativi alla realizzazione dell’opera (su cui cfr. Cass. civ., sez. III, 02-12-2016, n. 24640).

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La partecipazione degli enti pubblici alla fondazione

Qui si possono solo elencare alcuni tra i diversi problemi che possono colpire una fondazione di partecipazione di cui siano parte anche enti pubblici, al di fuori di quanto appena indicato in ragione delle opere da appaltare:

  1. la possibilità della loro partecipazione deriva dall’intervenuta abrogazione del comma 6 dell’art. 9 del d.l. 95/2012;
  2. eventuali apporti finanziari devono essere giustificati da finalità pubbliche; si dice infatti che “l’ente locale che istituisce una fondazione deve adottare tutte le cautele tese ad assicurare che essa sia in grado di generare un reddito capace di assicurare un equilibrio di bilancio” (Conti Lombardia Sez. contr. Delibera, 15-03-2017, n. 70; Cons. Stato, sez. VI, 3-6-2014, n. 2843, Vita not., 2014, 824 per la Fondazione Cà d’Industria onlus);
  3. non ritengo quindi che, ove queste cautele non siano assicurate, l’assemblea possa vincolare gli associati-enti pubblici a versare somme alla fondazione;
  4. quanto al c.d.a. della fondazione, il comma 5 dell’art. 6 del d.l. n. 78/2010 (conv. con l. n. 122/2010), tutt’ora vigente, prevede (anche) che “gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, provvedono all’adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non già costituiti in forma monocratica, nonché il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti”;
  5. infine se alla fondazione partecipano i comuni o le province esistenti, allora la partecipazione agli organi collegiali è gratuita (art. 6 comma 2 d.l. n. 78 del 2010) e rispettare le incompatibilità indicate dall’art. 63 del t.u.

 Il recesso dalla fondazione di partecipazione

In materia esiste solo una sentenza civile, Trib. Belluno, 15 febbraio 2018, Nuova giur. civ. comm., 2018, 1039, che ha applicato a queste fondazioni l’art. 24 c.c., consentendo ad un comune il recesso ad nutum dalla fondazione perché non fissava alcun termine. Sebbene si tratti di fondazione è però possibile immaginare un termine di durata, in particolare se lo scopo sia raggiungibile in termini brevi: quella cui si riferisce il tribunale di Belluno aveva come obiettivo la costruzione di un campo da golf.

Dubito che con l’attuale codice degli appalti la si potrebbe costituire oggi senza alcun problema…

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