Indice:
- Circolazione delle pertinenze immobiliari
- Il rapporto pertinenziale
- Instrumenta fundi ed instrumenta patris familiae
- Conseguenze pratiche
- La pertinenza urbanistica
- Ulteriori indicazioni del Consiglio di Stato
- Circolazione della pertinenza e menzioni urbanistiche
- Difesa nel procedimento disciplinare notarile
Circolazione delle pertinenze immobiliari
Sappiamo tutti che le pertinenze sono beni (mobili o immobili) destinati a servizio od ornamento di altri beni, mobili o immobili. Inoltre che le vicende circolatorie dei beni principali riguardano direttamente anche le pertinenze, laddove non escluse espressamente. Non serve quindi dire che l’auto che vendo comprende la ruota di scorta. Ma il notaio dubita che, se si vende la casa, il garage la segua senza necessità di dirlo, eppure…
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Il rapporto pertinenziale
Secondo le indicazioni della cassazione, il rapporto pertinenziale “presuppone l’esistenza, oltre che di un unico proprietario, di un elemento oggettivo, consistente nella oggettiva destinazione del bene accessorio ad un rapporto funzionale con quello principale e di un elemento soggettivo, consistente nell’effettiva volontà, espressa o tacita, di destinazione della “res” al servizio o all’ornamento del bene principale, da parte di chi abbia la disponibilità giuridica ed il potere di disporre di entrambi i beni“: sez. II, 21-7-2021, n. 20911.
Questa sentenza ha quindi escluso che il conduttore di un immobile avesse usucapito un magazzino non menzionato nel contratto di locazione e che egli aveva ugualmente occupato. Ciò appunto perché quel magazzino, in quanto pertinenza dell’appartamento locato, doveva ritenersi incluso nella locazione e quindi non suscettibile di possesso, essendo detenuto nell’interesse proprio del conduttore.
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Instrumenta fundi ed instrumenta patris familiae
Alle volte è difficoltoso accettare che la casa che vendo possa comprendere anche i condizionatori che magari ho montato qualche mese prima. A rigore include anzi anche le tende delle finestre e gli altri accessori amovibili che però, appunto, sono pertinenze della casa, ovvero svolgono la funzione di instrumenta fundi o, nel caso, di instrumenta tabernae.
Fino a che punto si può estendere questo ragionamento? La Cassazione ha escluso che valga, ad es., per le specchiere, perché “di regola, va esclusa la natura di pertinenza delle suppellettili, degli arredi e dei mobili che riguardino esclusivamente la persona del titolare del diritto reale sulla cosa principale e non la cosa in sé considerata“: sez. II, 14-5-2019, n. 12731.
Queste sono infatti instrumenta patris familiae; la cassazione lo ha detto a proposito della grotta usata per frantoio, che non è una pertinenza dell’abitazione: Cass., 6-9-2002, n. 12983. La difficoltà è quindi nel decidere se un certo bene assuma o meno la funzione di “servizio o ornamento” del bene principale oppure se sia un accessorio di utilità del suo padrone; dunque per i condizionatori si potrebbe discutere all’infinito, ma allora anche per l’impianto di riscaldamento.
Il discorso assume contorni apparentemente diversi quando si pensi al garage. Spesso questo bene è considerato in modo autonomo da chi vende, anche se in realtà, almeno per il codice civile, non è così. Si aprirebbero perciò fronti di discussioni complicate di fronte all’atto di vendita di una casa che non lo menzionasse: il silenzio vale come esclusione della pertinenza oppure l’effetto previsto dal codice è automatico?
L’art. 818 c.c. dice che la pertinenza circola con il bene principale “se non è diversamente disposto” dal titolo e quindi sembrerebbe appunto necessaria una menzione testuale dell’esclusione della pertinenza. Cass., , 14-5-2019, n. 12731, ha confermato ad es. la sentenza d’appello che aveva affermato che “la “relazione pertinenziale tra due cose determina automaticamente l’estensione alla pertinenza degli atti o rapporti giuridici aventi ad oggetto la cosa principale, salvo che il rapporto strumentale sia cessato anteriormente all’atto concernente la cosa principale”. La stessa sentenza di merito aveva rilevato che “l’anzidetto automatismo presuntivo sussistente tra bene principale e bene accessorio non poteva dirsi specificamente e compiutamente interrotto dalla contestazione, peraltro generica, operata dal comproprietario, che non ha fornito la prova di esclusione del vincolo pertinenziale o, quanto meno, di una concreta differente destinazione dei beni accessori“. Insomma dato l’effetto automatico di legge, il silenzio dell’atto non esclude che il trasferimento del bene principale riguardi la pertinenza.
La cassazione lo ha detto in modo più deciso e proprio riferendosi alle autorimesse Cass., sez. II, 31-1-2019, n. 2976: “gli accessori pertinenziali di un bene immobile devono, pertanto, ritenersi compresi nel suo trasferimento, anche nel caso di mancata indicazione nell’atto di compravendita, salvo un’espressa volontà contraria per escluderli (Cassazione civile, sez. II, 15/11/2016, n. 23237)“.
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Conseguenze pratiche
La conseguenza della regola sulla circolazione delle pertinenze può essere di impatto non trascurabile.
Una sentenza di separazione aveva assegnato ad uno dei coniugi l’appartamento con le relative pertinenze. Non si sa cosa fosse stato detto a proposito di queste nel giudizio di separazione, ma avanti alla Cassazione si è discusso se dovesse intendersi per pertinenza l’intero piano interrato dell’appartamento, comprensivo anche di tre garages. La risposta è stata che, siccome ai garages si accedeva da una scala che arrivava all’appartamento, allora il regime pertinenziale (accertato dai giudici di merito) era incontestabile in cassazione: sez. VI, 14-1-2020, n. 510.
In altro caso la Cassazione ha spiegato che la realizzazione di diversi box su un cortile condominiale, sia pure autorizzata dal titolo edilizio, non consente di far ritenere i box di proprietà esclusiva dei condomini che li abbiano costruiti. Dato che il cortile resta di proprietà condominiale, come pertinenza necessaria ex art. 1117 c.c., i box diventano di proprietà condominiale, ovvero in comunione anche con tutti gli altri condomini: sez. II, 14-.6-2019, n. 16070. Con la conseguenza per cui “giacchè appartenenti in comunione ai singoli condomini, quali comproprietari ex art. 1117 c.c. del cortile sul cui suolo sono state costruite, ogni acquisto di un’unità immobiliare compresa nell’edificio condominiale comprende la quota di comproprietà delle autorimesse comuni e il diritto di usufruire della stessa, a nulla rilevando l’eventuale divergenza fra il numero delle autorimesse e quello dei partecipanti al condominio, la quale può semmai incidere ai fini della regolamentazione dell’uso di esse (arg. da Cass. 16 gennaio 2008, n. 730; Cass. 18 luglio 2003, n. 11261; Cass. 28 gennaio 2000, n. 982)“.
In un diverso caso in cui era stato trasferito un appartamento al quale un corridoio serviva da pertinenza, la Cassazione ha confermato l’illegittimità del successivo trasferimento a terzi del corridoio stesso da parte del precedente proprietario dell’appartamento, perché il vincolo pertinenziale può ovviamente essere eliminato solo prima del trasferimento del bene e non dopo (sez. II, 5-8-2013, n. 18651). Dal che resta confermato che la pertinenza, anche se immobile, si trasferisce con il bene principale sia pure nel silenzio del titolo.
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La pertinenza urbanistica
Il Consiglio di Stato ritiene invece che, ai fini urbanistici, la pertinenza debba possedere requisiti ulteriori. Il problema riguardava un manufatto di cui si era affermata la natura pertinenziale ad altro immobile principale, munito di licenza edilizia (siamo nella vigenza della legge ponte n. 761/1971) e quindi l’assenza di obbligo di uno specifico titolo autorizzativo, essendo stato costruito quando tale titolo non occorreva.
A questa tesi, però, il Consiglio di Stato oppone appunto i diversi requisiti che costituiscono la pertinenza urbanistica: “la giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l’accezione civilistica di pertinenza sia più ampia di quella applicata nella materia urbanistico-edilizia. In particolare, si è affermato che: i) “la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce”; ii) “a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto “carico urbanistico” proprio in quanto esauriscono la loro finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale” (Cons. Stato, sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 12; Cons. Stato, sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8475; Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2018, n. 1391. La giurisprudenza amministrativa è, inoltre, costante nel ritenere che “rientra nel volume tecnico l’opera, di limitata consistenza volumetrica, priva di autonomia funzionale, anche solo potenziale, destinata a contenere esclusivamente impianti essenziali atti ad assolvere le esigenze tecnico funzionali dell’abitazione principale” (Cons. Stato, sez. II, 1 aprile 2020, n.2204). Nella fattispecie concreta in esame, è sufficiente la stessa descrizione delle opere effettuate dall’amministrazione perché si possa affermare che esse non abbiamo le caratteristiche, sopra descritte, di una pertinenza, risultando avere la loro autonomia. Né tantomeno potrebbero ritenersi mero “volume tecnico”)”: sez. VI, 26-4-2021, n. 3318.
Ulteriori indicazioni del Consiglio di Stato
Questa nozione è stata ribadita anche da Cons. Stato, sez. VI, 3 gennaio 2022, n. 8, che ha anche precisato che “dal punto di vista prettamente edilizio, si è consolidato l’orientamento in base al quale si deve seguire “non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale”, per cui un’opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee – come nel caso di specie in cui i manufatti sono stabilmente funzionali alle esigenze dell’impresa – non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (tale ultima circostanza deve per altro escludersi nel caso in esame) (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016)“. Il che si riverbera sulla legittimità dell’opera costruita, anche se sia di minimo impatto urbanistico, come ha detto questa decisione riferendosi ad un pergolato: “si può configurare un pergolato quanto si è al cospetto di “un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti” (Cons. Stato, Sez. VI, 2 luglio 2018, n. 4001)“.
Dunque non tutti i manufatti che sono pertinenze dal profilo civilistico lo sono anche dal profilo urbanistico; queste ultime possono essere soggette a titolo autorizzativo e quindi non possono circolare se il titolo difetti.
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Circolazione della pertinenza e menzioni urbanistiche
Resta però un tema sullo sfondo: cosa accade se la pertinenza non menzionata nel titolo sia certamente in regola dal profilo urbanistico ma appunto, siccome taciuta, nulla venga detto sulla sua consistenza in ordine alle menzioni -in particolare per la conformità oggettiva- previste dall’art. 29 l. n. 52/1985 c.c., che devono sussistere ai fini della validità dell’atto?
Ritengo che dipenda dal tipo di pertinenza.
Se si tratti di una costruzione, dato che la norma parla di “fabbricati già esistenti” e purchè siano “unità immobiliari urbane”, allora l’atto sembrerebbe privo di effetti per quanto attiene alla pertinenza. Altrimenti le parti aggirerebbero gli obblighi imposti dalle norme imperative di legge, cioè quella sulla conformità oggettiva… stando in silenzio. Sarebbe infatti troppo facile trasferire un garage abusivo non menzionandolo nell’atto e poi cercando di avvalersi dell’effetto indicato dall’art. 818 c.c., magari dando vita ad una causa simulata che le parti concordino. L’ordinamento è costituito da tutte le disposizioni vigenti, che si intersecano le une con le altre e quindi senza la presenza di tutti i requisiti necessari per il trasferimento di un bene immobile, questo non può circolare.
In tale ipotesi, peraltro, ritengo che sia consentita la conferma dell’atto ai sensi del comma 1 ter dell’art. 29 l. n. 52/1985, perchè l’effetto civilistico del trasferimento è avvenuto in forza del titolo principale, menzionando nell’atto di conferma il bene pertinenziale e le menzioni mancanti. Ovviamente a condizione che sussista la conformità oggettiva, altrimenti saremo in presenza (a mio modo di vedere) di una nullità parziale ex art. 1419 c.c. relativamente alla pertinenza abusiva.
Se invece si tratta di un orto o di una strada, che sicuramente assumano natura di instrumentum fundi, allora il trasferimento sarà valido automaticamente perchè in queste ipotesi non servono le menzioni indicate dal comma i bis dell’art. 29 l. n. 52/1985.
Difesa nel procedimento disciplinare notarile
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Affrontare un procedimento disciplinare è sempre complesso e sono frequenti i casi di incolpazione per violazione del divieto d’uso dei procacciatori d’affari. Arrivare a un accordo con il consiglio procedente è sempre possibile però.
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