Eredità con beneficio d’inventario: chi paga le spese delle cause? (art. 511 c.c.)

Indice:

Eredità con beneficio d’inventario: il problema delle spese delle liti (art. 511 c.c.)

Un creditore propone reclamo (art. 501 c.c.) alla sua esclusione dalla graduazione dei crediti dell’eredità beneficiata e vince la causa in primo grado. Il tribunale condanna l’erede alle spese di lite.

A questo punto l’erede chiede di pagare queste spese con l’attivo ereditario, includendo l’imposta di registro che, nel caso, era notevolissima.

Leggi ancheRepertorio notarile: quali conseguenze per l’omissione o l’irregolare tenuta?

La decisione del tribunale di Pordenone

Il tribunale di Pordenone rigetta l’istanza “perché i pagamenti sopra indicati non appaiono riconducibili agli oneri contemplati dall’art. 511 c.c. e si rivelano senz’altro idonei ad arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori ed eventuali legatari”.

Assisto l’erede e trovo questa motivazione sbalorditiva, A parte che l’assenza di testamento impediva di parlare di “eventuali legatari”, resta il fatto assorbente che tutte le spese che l’art. 511 c.c. prevede “per ogni altro atto dipendente all’accettazione” ponendole a carico dell’eredità beneficiata sono sempre dannose per l’attivo ereditario. Ma, soprattutto, questa decisione dimentica che l’art. 94 c.p.c. dice chiaramente che “gli eredi beneficiati, i tutori, i curatori e in genere coloro che rappresentano o assistono la parte in giudizio possono essere condannati personalmente, per motivi gravi che il giudice deve specificare nella sentenza, alle spese dell’intero processo o di singoli atti, anche in solido con la parte rappresentata o assistita”. Nel caso mancava proprio la predetta specificazione.

Leggi anche: Disciplinare notaio: patteggiamento in Co.Re.Di.?

La giurisprudenza in materia

Quindi propongo reclamo dicendo che il ricorso del notaio aveva indicato l’assenza di questa previsione nella sentenza sicchè il costo era necessariamente a carico dell’eredità beneficiata e non dell’erede.

Lo dice continuamente la Giurisprudenza. Ad es. Cass., 28-10-2019, n. 27475: “la soccombenza della parte rappresentata o assistita non è ragione sufficiente a giustificare la condanna del rappresentante o curatore in proprio alle spese dell’intero processo o di singoli atti. Tale condanna, nella quale si ravvisa una fattispecie derogatoria al canone oggettivo della soccombenza, richiede l’esistenza di gravi motivi intesi nel senso sopra indicato, che “il giudice deve specificare nella sentenza“; così anche Cass., 8-10-2010, n. 20878.

Si tratta di un insegnamento che risale ad una decisione a sezioni unite del S.C., ovvero Cass., 6-10-1988, n. 5398. Questa sentenza ha spiegato che “la condanna personale alle spese di chi rappresenta o assiste la parte in giudizio resta condizionata al concorso di gravi motivi che il giudice deve pur sempre individuare nella loro concreta esistenza specificamente, identificandoli o con la trasgressione a quel dovere di probità e lealtà, imposto alle parti dall’art. 88 cod. proc. civ. ed espressamente richiamato dallo art. 92 cod. proc. civ. ai fini del carico delle spese processuali, o con la mancanza di quella normale prudenza che, secondo il disposto dell’art. 96, comma secondo, cod. proc. civ. caratterizza la responsabilità aggravata della parte (Cass. 649/63)”.

Ed ha anche precisato che “ il S.C. insegna diversamente come si debba intendere l’art. 94 c.p.c., in base all’orientamento sopra ricordato (che risale a Cass. n. 3713/1977 ed arriva ai giorni nostri), per cui la condanna dell’erede in persona deve essere oggetto di specifica statuizione ex art. 94 c.p.c. che manca nella sentenza del tribunale: nel qual caso la condanna riguarda la parte rappresentata o, come qui, il patrimonio beneficiato”.

Così Cass., 12-4-2017, n. 9350: “allorquando la posizione della parte quale erede accettante con beneficio di inventario venga dedotta come tale, in correlazione con la situazione giuridica attiva o passiva azionata in giudizio, e non sia stata posta in discussione nel processo da essa o contro di essa instaurato, non è dubitabile che le conseguenze della soccombenza di detta parte e, quindi, anche della soccombenza sulle spese giudiziali, siano riferibili ad essa nella qualità, con la conseguenza che debba trovare applicazione la regola per cui l’erede non è tenuto oltre il valore dei beni a lui pervenuti (art. 490 c.c., n. 2; art. 2740 c.c.) e ciò, sia quanto all’efficacia della decisione fra le parti, sia quanto all’efficacia di essa ai fini delle eventuali attività relative alle successive vicende dell’eredità beneficiata (per riferimenti si veda la remota Cass. n. 3713 del 1977)”.

Leggi anche Procacciatori d’affari: la recente giurisprudenza sul divieto notarile

La decisione della Corte d’appello di Trieste

La Corte d’appello di Trieste (decr. 8 marzo 2022) accoglie il reclamo: dando atto che “non si rinvengono decisione edite” ritiene che la disposizione dell’art. 511 c.c. “valga anche per le spese relative alle liti non vinte, purchè non temerarie”.

La decisione, molto più lunga ed articolata, si legge nel fascicolo di ottobre  del 2022 di Giurisprudenza Italiana, con bella nota di commento di Ilaria Riva.

Difesa nel procedimento disciplinare notarile

Lo studio Ticozzi Sicchiero & Partners offre la propria assistenza anche in materia di disciplinare notarile.

Affrontare un procedimento disciplinare è sempre complesso e sono frequenti i casi di incolpazione per violazione del divieto d’uso dei procacciatori d’affari. Arrivare a un accordo con il consiglio procedente è sempre possibile però.

Articoli correlati