A quali debiti si applica l’art. 1284 c.c. comma 4?

Indice:

La disciplina degli interessi sui debiti

L’art. 1284 c.c. regola il pagamento degli interessi sui debiti scaduti.
La regola è questa:
1. Il saggio degli interessi legali è determinato in misura pari al 5 per cento in ragione d’anno. Il Ministro del tesoro, con proprio decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana non oltre il 15 dicembre dell’anno precedente a quello cui il saggio si riferisce, può modificarne annualmente la misura, sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell’anno. Qualora entro il 15 dicembre non sia fissata una nuova misura del saggio, questo rimane invariato per l’anno successivo.
2. Allo stesso saggio si computano gli interessi convenzionali, se le parti non ne hanno determinato la misura.
3. Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale.
4. Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
5. La disposizione del quarto comma si applica anche all’atto con cui si promuove il procedimento arbitrale

La misura degli interessi legali

La misura degli interessi di mora è del 5% decorre dal primo gennaio del 2023, mentre nel passato più recente gli interessi legali erano diversi: 0,30% dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018; 0,80% dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2019; 0,05% dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2020; 0,01% dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 202; 1,25% Dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022.
Questo balzo in avanti è perché nel 2022 l’inflazione è arrivata al 9-10% e quindi se non si alza il tasso degli interessi legali, si incoraggiano i debitori a non pagare, perchè è preferibile investire il denaro in attività remuneratorie, i cui ricavi coprano abbondantemente gli interessi legali che si dovranno pagare ai creditori.

Il maggior danno previsto dall’art. 1224 c.c.

Prima che l’art. 1284 c.c. avesse l’attuale formula, che include i c.d. “interessi commerciali” indicati al quarto comma, il creditore aveva un solo rimedio. Era però un rimedio da far valere nel corso del giudizio, dando la prova che gli interessi legali non sono sufficienti a coprire i suoi danni (art 1224 c.c.). In questo caso il giudice poteva riconoscere interessi più alti di quelli legali. Tuttavia la prova del maggior danno era difficile e molto spesso negata. Ad es. i giudici dicevano che chi usa il denaro per le spese quotidiane non ricava una maggiore utilità dal suo valore nominale e quindi negavano gli interessi ulteriori in misura maggiore dell’inflazione: “è legittima la liquidazione della svalutazione secondo gli indici Istat, alla stregua del criterio adottabile con riguardo alla categoria dei piccoli consumatori, essendo presumibile che il creditore appartenga quantomeno ad essa” (Cass. 21/02/2002, n. 2508). Quindi se l’inalazione è bassa, com’è stato nel periodo 2018-2021, il maggior danno non viene liquidato. Invece per gli imprenditori la prova era più facile: si ritiene infatti “sufficiente dimostrare di avere, durante la mora del debitore, fatto ricorso al credito bancario (o ad altre forme di approvvigionamento di liquidità), sempre che il ricorso al credito, in relazione all’entità dello stesso ed alle dimensioni dell’impresa, sia stato effettiva conseguenza dell’inadempimento” (Cass., 9/8/2021, n. 22512). Questa regola è ancora in vigore, non essendo stata sostituita dall’art. 1284, quarto comma, c.c..

Un rimedio automatico

Il quarto comma dell’art. 1284 c.c. è stato aggiunto nel 2014.
La disposizione non richiede alcuna prova di danno da parte del creditore, perché prevede il saggio degli interessi in modo automatico. Il creditore potrà quindi chiedere gli interessi previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ovvero dal d. lgs. n. 231/2002.
L’art. 5 di questo decreto prevede che “gli interessi moratori sono determinati nella misura degli interessi legali di mora“.
Gli interessi legali di mora sono così indicati dall’art. 1: “Interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali“.
Il tasso di riferimento è questo: “il tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali“.
Quindi in caso di ritardo, il quarto comma prevede che all’importo capitale si applichino interessi pari ad 8 punti oltre al tasso di applicato dalla B.C.E., che lo indica su propri documenti.
Come si capisce questo saggio è molto più alto di quello legale indicato dal primo comma dell’art. 1284 c.c.

I debiti cui applicare la regola: il vecchio orientamento della cassazione

La prima sentenza della cassazione a pronunciarsi su questo comma è stata la 7 novembre 2018, n. 28409.
Questa decisione ha detto che il quarto comma dell’art 1284 c.c. si applica solo ai debiti nascenti da contratto.
L’argomentazione si è basata sul tenore letterale della norma.
La cassazione ha detto infatti che “l’elemento testuale di assoluta rilevanza ai fini della corretta interpretazione della portata applicativa della norma de qua risulta essere l’incipit della proposizione di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, – “Se le parti non ne hanno determinato la misura….” si applica il saggio d’interesse proprio per le transazioni commerciali”.
Quindi, secondo tale decisione, la regola così scritta avrebbe “la funzione di delimitazione dell’ambito di applicabilità della norma correlandola ad un ben determinato tipo di obbligazioni pecuniarie ossia quelle che trovano la loro fonte genetica nel contratto”.
In altre parole non si potrebbe applicare ai debiti che derivano dalla condanna a risarcire un danno da fatto illecito, da arricchimento senza causa, da gestione d’affari, da indebito oggettivo o soggettivo e da altre ipotesi di debito non contrattuale.
la corte lo ha detto chiaramente: “Viceversa in relazione alle obbligazioni pecuniarie derivanti dalle altre fonti indicate in art. 1173 c.c., detta disciplina non risulta applicabile poichè nemmeno in astratto è possibile ipotizzare un previo accordo tra le parti interessate circa il saggio d’interesse o le conseguenze dell’inadempimento”.

La critica a questo orientamento

Sono stato tra i primi a criticare quella sentenza, che era passata sotto silenzio.
I miei argomenti sono stati questi: il significato letterale delle parole non è un elemento ben utilizzato. Infatti varie regole che riguardano i rapporti obbligatori usano parole simili, come ad es. l’art. 1182 c.c., ma nessuno si è mai sognato di dire che valgono solo per le obbligazioni contrattuali. Altrimenti avremmo una serie di rapporti obbligatori per i quali mancano del tutto o in gran parte le regole, come appunto il fatto illecito, l’arricchimento senza causa, la gestione d’affari, l’indebito oggettivo o soggettivo ecc.
In secondo luogo quella regola serve a spingere tutti i debitori a pagare i propri debiti, non solo quelli che derivano da contratto.
Infine quella sentenza era palesemente contraddittoria, perché dopo aver affermato quel principio, ha detto che si può applicare anche ad ogni “obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte in un contratto stipulato tra le parti, anche se afferenti ad obbligo restitutorio”. Sennonché l’effetto restitutorio si può avere anche se il contratto sia nullo del tutto e dunque incapace di creare obbligazioni. Questa ipotesi si chiama indebito oggettivo e rientra tra quelle che sono state formalmente escluse dalla sentenza ma poi riaffermate senza accorgersi dell’errore.

Ed ora il nuovo orientamento della cassazione

Da pochi mesi la cassazione ha cambiato idea ed è sulla strada giusta.
Questa la decisione della seconda sezione civile con l’ordinanza 3 gennaio 2023, n. 61.
“La società ricorrente deduce che “… la Corte territoriale, disapplicando la portata generale dell’art. 1284 c.p.c., comma 4, (il quale prevede l’applicazione del tasso maggiorato previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali dal momento in cui è proposta domanda giudiziale avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche di natura restitutoria) non ha riconosciuto all’odierna ricorrente il tasso maggiorato sulle somme liquidate nella sentenza del Tribunale Civile di Sassari”. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce che “… la Corte territoriale non ha correttamente valutato la circostanza relativa al fatto che l’obbligazione di pagamento a favore della odierna ricorrente discende da un rapporto di natura contrattuale (conto corrente) in essere fra le parti”.

Il problema, quindi, è a quali debiti si applichi l’art. 1284 c.c.

Prosegue la decisione: “I due motivi del ricorso sono connessi: entrambi pongono la questione di diritto della individuazione di eventuali limiti di applicabilità, con riguardo a determinate categorie di obbligazioni, della disposizione di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, con la quale è stato determinato, quale tasso legale applicabile alle obbligazioni pecuniarie per il periodo successivo all’inizio del processo civile, il tasso di interesse cd. “commerciale” di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002 (“Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”). Secondo la corte d’appello, la disposizione sarebbe applicabile alle sole obbligazioni derivanti da un rapporto giuridico di natura negoziale tra le parti; essa ne ha, di conseguenza, escluso l’operatività nel caso di specie, affermando che il credito fatto valere dall’intimante sarebbe una obbligazione derivante da ripetizione di indebito, che non ha natura negoziale. La ricorrente sostiene, invece, che il campo di applicazione della disposizione sarebbe generalizzato, quindi riferibile a tutte le obbligazioni pecuniarie e comunque che, nella specie, l’obbligazione portata dal titolo esecutivo derivava in realtà da un rapporto contrattuale. Il ricorso è fondato”.

Il cambiamento di rotta: la funzione deflattiva sottolineata dalla cassazione

“2. Ritiene il Collegio che la disposizione di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, individui il tasso legale degli interessi, in linea generale, per tutte le obbligazioni pecuniarie (salvo diverso accordo delle parti e salva diversa espressa previsione di legge), per il periodo successivo all’inizio del processo avente ad oggetto il relativo credito, fino al momento del pagamento.
Depone nel senso indicato, in primo luogo, la sua stessa ratio. L’art. 1284 c.c., comma 4, è stato introdotto al fine di contenere gli effetti negativi della durata dei processi civili, riducendo il vantaggio, per il debitore convenuto in giudizio, derivante dalla lunga durata del processo, attraverso la previsione di un tasso di interesse più elevato di quello ordinario, dal momento della pendenza della lite: si tratta evidentemente di una disposizione (lato sensu “deflattiva” del contenzioso giudiziario), che ha lo scopo di scoraggiare l’inadempimento e rendere svantaggioso il ricorso ad inutile litigiosità, scopo che prescinde dalla natura dell’obbligazione dedotta in giudizio e che si pone in identici termini per le obbligazioni derivanti da rapporti contrattuali come per tutte le altre”.

E la portata generale dell’art. 1284 c.c. accolta dalla cassazione

“Nel medesimo senso depongono, inoltre, sia la circostanza che si tratta di una disposizione inserita nell’art. 1284 c.c., intitolato “saggio degli interessi”, cioè nell’articolo del codice civile che disciplina in linea generale, per tutte le obbligazioni, il tasso legale degli interessi, sia il rilievo che tale articolo non contiene alcuna espressa limitazione di applicabilità delle sue disposizioni a solo alcune categorie di obbligazioni (.…).
3.1 Il Collegio non ritiene, in realtà, che possa condividersi l’argomento logico-giuridico posto a fondamento di tale indirizzo e cioè l’osservazione per cui l’incipit della disposizione di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, avrebbe “la funzione di delimitazione dell’ambito di applicabilità della norma correlandola ad un ben determinato tipo di obbligazioni pecuniarie ossia quelle che trovano la loro fonte genetica nel contratto” in quanto essa “apparirebbe altrimenti inutile ripetizione della compiuta disciplina in tema di danni da inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie portata nell’art. 1224 c.c., che opera richiamo all’uopo agli interessi legali ed espressamente prevede il rispetto del saggio d’interesse superiore a quello legale pattuito dalle parti”.
Anche riconoscendo alla norma in esame il carattere generale immediatamente desumibile dalla sua collocazione sistematica e dalla sua ratio e, quindi, ritenendola applicabile alle obbligazioni di ogni natura, tanto se derivanti da contratti o negozi giuridici, quanto se derivanti da fatti illeciti o altri fatti o atti idonei a produrle, il riferimento ad un possibile diverso accordo tra le parti, con prevalenza sul suo dettato, ha comunque un senso ed un concreto significato normativo, onde esso non pare potersi ritenere affatto una superflua ripetizione del disposto dell’art. 1224 c.c.”.

Il motivo di questa portata generale

La cassazione confronta poi l’art. 1284 c.c. con l’art. 1224 c.c.
“3.1.1 In primo luogo, si deve tenere conto del fatto che le previsioni di cui all’art. 1224 c.c. hanno ad oggetto il tasso di mora nelle obbligazioni pecuniarie, cioè il tasso di interessi applicabile, in tale categoria di obbligazioni, dal giorno della mora (che può ovviamente essere anteriore a quello di inizio del processo), mentre l’art. 1284 c.c., comma 4, riguarda invece solo il tasso degli interessi di mora per il periodo successivo all’inizio del processo: le due disposizioni hanno, quindi, un campo di applicazione differente, il che esclude che possano essere una la duplicazione dell’altra.
Basti considerare che, se le parti avessero previsto un tasso di interesse di mora superiore al tasso legale ordinario (cioè a quello dell’art. 1284 c.c., comma 1), ma inferiore a quello cd. commerciale, in mancanza della clausola di salvezza prevista nella parte iniziale dell’art. 1284 c.c., comma 4, dovrebbe operare quello fissato dalle parti per il periodo di mora anteriore al processo e, poi, quello dell’art. 1284 c.c., comma 4, per il periodo del processo: in base all’incipit dell’art. 1284 c.c., comma 4, invece, se vi è un accordo delle parti sul tasso di mora, va applicato tale tasso, anche dopo l’inizio del processo”.
La motivazione della sentenza è molto lunga e prosegue ancora, ma queste parti già spiegano perché l’art. 1284 c.c. valga per tutti i debiti e non solo per quelli contrattuali.

Conclusioni

Come si comprende, questa decisione è molto importante perché ha valorizzato due aspetti che avevo segnalato nella mia critica alla precedente decisione del 2018. Anzitutto che non vi è motivo alcuno per limitare la regola ai soli debiti contrattuali, perché la disciplina generale delle obbligazioni (artt. 1173-1320 c.c.) riguarda tutti i debiti, non solo quelli che derivano da contratto. In secondo luogo perché ha funzione di ridurre i ritardi nei pagamenti, perché il debitore non può contare su un basso tasso di interessi legali come indicati nel primo comma dell’art. 1284 c.c.
Ora bisogna attendere che la cassazione prenda un orientamento unico, magari decidendo la questione a sezioni unite e chiudendo il discorso senza pronunce confliggenti.

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