Come fare per il risarcimento dei danni alle vittime di reati violenti?

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Il risarcimento del danno alle vittime di reati violenti

I reati violenti contro la persona più gravi, che vanno dallo stupro all’omicidio, sono stati presi in considerazione nel passato dell’Unione Europea, che ha emanato una Direttiva (2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004) per l’indennizzo spettante alle vittime, che sono o quelle che hanno subito la violenza o le c.d. vittime secondarie, ovvero i parenti prossimi della persona uccisa.
Qualora l’autore del reato sia privo di sostanze economiche, è compito dello Stato corrispondere alle vittime un indennizzo; lo prevede il comma 2 della Direttiva: “Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime”.

L’intervento della Corte Europea

La Corte di Giustizia con la sentenza 11 ottobre 2016, n. 601/14 ha chiarito che la Direttiva riguarda non solo i cittadini “transfrontalieri”, ovvero quelli che si trovano in un altro paese dell’Unione rispetto al proprio, ma anche quelli “domestici”: perché la direttiva impone “ad ogni Stato membro di adottare, al fine di garantire l’obiettivo da essa perseguito in siffatte situazioni, un sistema nazionale che garantisca l’indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento sul proprio territorio”.
La parola indennizzo è diversa da risarcimento ed infatti la giurisprudenza ritiene che questa somma debba essere seria ma non debba necessariamente arrivare a risarcire integralmente il danno.
La Grande Sezione della Corte di Giustizia nel 2020 (causa C-129/19) ha detto che: “uno Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 se le sue disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime”.

La somma irrisoria che riconosce l’Italia…per ora!

Insomma, seguendo adeguate procedure, si ha diritto a questo indennizzo, che però lo Stato italiano, in forza della legge n. 122/2016 e suoi decreti attuativi, corrisponde in una misura che, ad es. per il caso di omicidio, è palesemente irrisoria.
Nel caso di specie, in cui assisto i parenti della vittima, una donna è stata uccisa dall’ex compagno, condannato in via definitiva sia a 30 anni di reclusione sia al risarcimento dei danni ai parenti, essendo nullatenente.
Purtroppo sebbene condannato a pagare somme che vanno dai 120.000 euro per la sorella della vittima ai 400.000 euro per i figli, lo Stato ha corrisposto a questi solo 20.000 euro, al marito separato da 16 anni 16.000 euro e -addirittura!- nulla ai genitori ed alla sorella!
A questo punto i miei assistiti hanno proceduto in giudizio contro lo Stato italiano e, lo dico con grande soddisfazione: il Tribunale di Venezia, accogliendo una mia richiesta, ha rimesso alla Corte di giustizia alcune questioni di conformità della legge n. 122/2016 alla Direttiva UE n. 2004/80.
Di seguito uno stralcio dell’ampia motivazione.

La questione pregiudiziale presentata dal Tribunale di Venezia:

Se in tema di illeciti plurioffensivi (quale è l’uccisione di un congiunto) agli Stati membri dell’Unione Europea sia consentito di discriminare tra i soggetti individuati quali danneggiati dal reato in un processo penale, subordinando l’attribuzione di un indennizzo ai genitori e alla sorella della vittima alla condizione che non siano presenti né il coniuge né figli.
E la questione posta è così specificata: “Dica la Corte di Giustizia dell’Unione Europea se: nel caso relativo ad un’azione di risarcimento danni proposta da cittadini italiani, residenti stabilmente in Italia, contro lo Stato per la mancata attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE, “relativa all’indennizzo delle vittime del reato”, e, in particolare, dell’obbligo di introdurre [un sistema] idoneo a garantire un adeguato ed equo ristoro, in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali nelle ipotesi in cui le medesime siano impossibilitate a conseguire, dai diretti responsabili, il risarcimento integrale dei danni subiti e in relazione alla situazione di intempestivo (o incompleto) recepimento della Direttiva 2004/80/CE:

  1. a fronte dell’art. 11, comma 2 bis, della l. n. 122/2016, che subordina la corresponsione dell’indennizzo ai genitori ed alla sorella della vittima di omicidio, alla mancanza di coniuge e figli della vittima stessa, pur in presenza di una sentenza passata in giudicato che quantifica anche a loro favore il diritto al risarcimento del danno ponendolo a carico dell’autore del reato: se la corresponsione dell’indennizzo stabilito in favore dei genitori e della sorella di una vittima dei reati intenzionali violenti, nel caso omicidio, risulti conforme a quanto prescritto dall’art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80 nonché agli artt. 20 (uguaglianza), 21 (non discriminazione), 33 comma 1 (protezione della famiglia), 47 (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed art. 1 prot. 12 della CEDU (non discriminazione);
  2. riferita al limite alla corresponsione dell’indennizzo: se la condizione posta alla erogazione dell’indennizzo consistente nelle parole “comunque nei limiti delle disponibilità del Fondo di cui all’articolo 14”, senza che alcuna norma imponga allo Stato italiano l’accantonamento di somme concretamente idonee a corrispondere gli indennizzi, anche determinate su base statistica ed in ogni caso risultanti concretamente idonee ad indennizzare in tempi ragionevoli gli aventi diritto, possa reputarsi “indennizzo equo ed adeguato delle vittime”.

A questo punto se la Corte di Giustizia ribadirà quanto ha detto ed entrerà nel merito dei diritti delle altre vittime secondarie, ritengo che queste potranno ricevere la soddisfazione cui hanno diritto.

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