Eredità aziendale: una guida alla successione dell’imprenditore che ha siglato un patto di famiglia

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Eredità aziendale: quali problemi?

Un problema che come professionista mi sono ritrovato ad affrontare, e che prima o poi anche i giudici affronteranno, riguarda la determinazione dell’asse ereditario dell’imprenditore che in vita ha siglato un patto di famiglia.

Il punto più problematico e discusso tra i professionisti è se l’asse ereditario dell’imprenditore comprenda anche i beni di cui ha disposto con il patto di famiglia. Ciò è fondamentale per comprendere quali diritti vantino i soggetti legittimari quando finalmente si aprirà la successione.

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Un esempio pratico rende meglio di ogni spiegazione teorica: un imprenditore effettua varie donazioni a favore dei figli relative a somme di denaro importanti, poi con i figli stessi stipula un patto di famiglia, uno di loro è assegnatario del denaro e gli altri sono beneficiari; successivamente ancora viene riconosciuta a un’altra persona la paternità del figlio assegnatario.

Da un punto di vista pratico si può pensare a due diverse soluzioni che comportano un problema comune, sia che il patto di famiglia venga ristipulato (non importa come) sia che ciò non succeda.

Il problema comune è di grande rilevanza e riguarda proprio come si debba calcolare l’asse ereditario dell’imprenditore. Questo perché il valore delle quote riservate agli eredi legittimari (non la percentuale, se non viene fatto testamento) è ben diverso se l’asse ereditario si compone solo di relictum e donatum o se è necessario fare una riunione fittizia del relictum, del donatum e di quanto disposto con il patto di famiglia.

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Un esempio: l’asse dell’imprenditore si compone di 200€ di donazioni e di altri 800€ di cui dispone con il patto di famiglia, e non ci sono altre somme di relictum: nel primo caso la parte di patrimonio disponibile (link articolo) è di 50€, nel secondo di 200€!

Questo succede anche quando l’imprenditore scriva un testamento perché, ad es., dispone del proprio patrimonio con dei legati o dispone male della quota disponibile: come si determina la quota riservata ai legittimari in questi casi?

La funzione del patto di famiglia: le posizioni in dottrina

Per dare una risposta a questi problemi non esiste una soluzione perché il legislatore non ha disciplinato direttamente questo problema.

Il codice civile dice che “quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione” (art. 768 quater, comma 4 c.c.). Alcuni autori ritengono però che questa norma sia valida solo per regolare i rapporti tra chi partecipa al patto di famiglia (intesa come una “successione separata”); quindi che non sia applicabile alla successione che si apre sul patrimonio restante, per la quale invece si applicherebbe la disciplina ordinaria, cioè le quote riservate ai legittimari sarebbero determinate dalla ricostruzione dell’asse ereditario composto da relictum e donatum.

Ci sono quattro teorie in letteratura sulla funzione del patto di famiglia: alcuni ne sottolineano lo spirito di liberalità che soggiace e lo considerano un atto di natura liberale; altri lo considerano una liberalità non donativa; altri ancora evidenziano la sua funzione divisoria (per qualche autore si mescola con un intento liberale); ancora c’è chi ritiene che sia un atto con causa successoria in senso lato; infine è poco seguita la tesi che lo considera un contratto a favore di terzi (tutte queste posizioni sono riassunte ad es. in Venturini, Il patto di famiglia, in Successioni e donazioni, a cura di Fava, Milano, 2017, pp. 2226 ss.).

Io avevo ritenuto importante evidenziare la novità dell’istituto del patto di famiglia rispetto al resto della disciplina, cosa che impedirebbe di utilizzare figure affini per qualificarlo e porterebbe a individuare la sua funzione guardando alla sua disciplina nel codice civile.

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La funzione del patto di famiglia più accreditata

Il cod. civ. intende la funzione del patto di famiglia quale quella di attribuire in vita un bene determinato a un soggetto, senza corrispettivo e con un accordo che deve coinvolgere tutti i potenziali e gli attuali successori legittimari per rispettare i loro diritti se in quel momento si aprisse la successione ereditaria, diritti che sono però disponibili.

Quindi, mentre in precedenza era previsto che si potesse fare questo trasferimento solo con l’unico atto stabilito dal legislatore (la successione), ora invece è possibile fare il trasferimento con un atto tra vivi che, per me, si caratterizza per la sua funzione successoria “anticipata” (vd. La causa del patto di famiglia, in Contatto e impresa, 2006, pp. 1261 ss).

Dopo molti anni e letti gli altri autorevolissimi contributi in materia, rimango convinto della mia idea: non solo perché la disciplina del patto di famiglia è stata elaborata sulla base delle indicazioni europee che intendevano superare i problemi relativi alla successione nelle generazioni delle attività economiche -cosa che attiene alla genesi del patto-, ma soprattutto perché la funzione è proprio quella di dare in vita un bene che si può dare anche dopo la morte con il testamento, sottraendolo così ai classici problemi che sorgono avanti alle donazioni o divisioni fatte dal testatore quando comincia a discutersi se è stata rispettata o meno la quota dei legittimari.

Personalmente, non vedo una forma di liberalità diversa rispetto a quella del testamento e nemmeno ha una funzione puramente divisoria perché anche questa funzione è subordinata al raggiungimento dello scopo successorio.

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Quindi come si calcola l’asse ereditario dell’imprenditore che ha siglato un patto di famiglia?

Premesso che la questione appena accennata è aperta a discussioni infinite, il vero tema problematico rimane questo: si parla di due “successioni” diverse (una fatta col patto di famiglia e una alla morte dell’imprenditore) o di una successione “unica” attuata in parte inter vivos e in parte mortis causa?

Ancora, l’unico suggerimento che ci dà il codice civile è la già detta regola di esclusione delle attribuzioni dalla collazione e dalla riduzione (art. 768 quater, comma 4 c.c.). Io penso che non si possa proprio applicare questa regola ai rapporti di attribuzione interni al patto di famiglia perché gli eredi legittimari non assegnatari possono comunque rinunciare in tutto o in parte alle somme che gli spettano (art. 768 quater, comma 2 c.c.).

Se gli eredi legittimari possono rinunciare non si capisce allora che motivo avrebbero per agire in giudizio contro il figlio assegnatario, dato che se sono insoddisfatti ma hanno accettato le somme che gli sono attribuite, allora hanno anche rifiutato somme maggiori.

In questo caso non potrebbe nemmeno farsi valere l’errore sul valore (argomentato dal richiamo contenuto nell’art. 768 quinquies c.c. all’art. 1427 c.c.) relativo alla convenienza del prezzo perché anche se fosse riconoscibile non sarebbe comunque causa di annullamento del contratto (in questo senso vd. ad es.: Cass., 12-11-2018, n. 29010; Cass., 3-4-2003, n. 5139 etc…). Il codice civile infatti comprende solo l’ipotesi che si faccia valere l’errore per annullare il patto di famiglia nei casi di violenza, dolo o errore contemplati nelle ipotesi tipiche elencate dall’art. 1429 c.c.

Ugualmente neanche il figlio assegnatario potrebbe lamentarsi di aver pagato troppo: se nel calcolare la convenienza delle attribuzioni agli altri eredi legittimari ha valutato male il valore dell’azienda o del pacchetto azionario a lui assegnato, pagando di più, l’errore non è rilevante ai sensi dell’art. 1427 c.c. Se invece consiste in un errore di calcolo, sarà possibile chiedere la rettifica, mentre il patto è annullabile solo se l’errore riguarda il metodo di calcolo o errori di percezione degli elementi per la stima.

Nulla cambia poi anche se il denaro arriva agli eredi non assegnatari direttamente o indirettamente da chi dispone delle somme stesse (infatti capita spesso): è escluso che questo pagamento divenga oggetto di azioni di riduzione perché non è una donazione dell’imprenditore, ma solo un’attribuzione, appunto in funzione successoria, che permette di alleggerire il carico imposto all’assegnatario, oppure detto con parole diverse, serve ad aumentare il valore di quanto gli è attribuito perché libero dal debito verso gli altri beneficiari.
Sotto questa luce si tratta del pagamento del debito da parte di un terzo (l’assegnatario) che non ha alcun titolo per lamentarsi di questo evento, anche perché se non lo facesse rimarrebbe comunque responsabile della mancata soddisfazione degli altri beneficiari venuta meno.

Per concludere, ritengo che l’esclusione della collazione e della riduzione svolga solo la funzione di impedire discussioni inutili sulle attribuzioni effettuate sulla base del patto di famiglia quando poi si aprirà la successione mortis causa. È quindi possibile che il patto di famiglia leda la quota che spetta agli eredi legittimari, ma ciò dovrà essere valutato sulla base dell’intero asse ereditario (cioè relictum + donatum + patto di famiglia), e colpirà però solo il relictum e il donatum, se accertati, a cominciare dai legati disposti con un eventuale testamento.

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Le più recenti parole della Cassazione a riguardo

La Cassazione ha recentemente pronunciato una sentenza, la n. 29506 del 24 dicembre 2020, dove senza limitarsi a risolvere la questione principale di materia tributaria (relativa alla tassazione del patto) ha deciso di esprimersi anche sui principi generali del patto di famiglia.

La Cassazione esamina le varie tesi (sopra riportate) e afferma che non si può applicare regole relative a figure diverse perché il patto di famiglia è un istituto diverso e autonomo:

“come pure emerge dall’intenzione del legislatore dall’esame dei lavori preparatori, appare vano cercare di ricondurre l’istituto in esame a figure già presenti nel nostro ordinamento, essendo un contratto tutto nuovo, che il legislatore ha voluto inserire tra i patti in deroga al divieto dei patti successori”.

Prosegue quindi motivando la propria decisione:

non può negarsi la collocazione del patto nell’ambito proprio delle liberalità, la quale emerge chiaramente dalle norme che richiedono per esso la forma pubblica e apprestano strumenti di tutela in favore dei legittimari, sancendo poi l’esenzione da riduzione e collazione, istituti, tutti, tipicamente legati alla disciplina delle donazioni, tenuta in considerazione, anche solo per derogarvi. In tale quadro, il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie in favore del beneficiario si presenta, tuttavia, e per legge, necessariamente collegato alla dazione di una somma di denaro da parte di quest’ultimo ai legittimari che non hanno avuto alcuna attribuzione, la quale, sempre per legge, corrisponde alla quota di legittima spettante a questi ultimi, computata sul valore del solo trasferimento operato.”

Ciò dimostra che la Cassazione considera il patto di famiglia come un patto di natura successoria, infatti dà conferma di ciò successivamente:

“In altre parole, il legislatore considera i beni trasferiti con il patto di famiglia separatamente rispetto ai restanti beni dell’imprenditore e, come se si aprisse anticipatamente la successione solo su tali beni, prevede la necessità di determinare la quota di legittima, spettante ai legittimari non assegnatari, ponendo a carico del beneficiario del trasferimento l’obbligo della relativa liquidazione, come se fosse esperita l’azione di riduzione e operata la divisione.”

“In questo modo, non solo è operata una liberalità in favore degli assegnatari dell’azienda o delle quote sociali, a soddisfacimento delle intenzioni dell’imprenditore, cosa che si poteva fare già prima dell’introduzione del patto di famiglia, ma viene anche soddisfatto il diritto alla quota di riserva del coniuge e dei discendenti, mediante conguaglio in denaro (o eventualmente in natura), computato, si ribadisce, sempre e solo sul valore dell’attribuzione effettuata.”

“Tali operazioni sono, poi, sugellate dalla non sottoposizione a collazione e riduzione delle attribuzioni operate. Si comprende bene pertanto che, dal punto di vista funzionale, il patto di famiglia si colloca nell’ambito dei patti successori non tanto perché con esso vengono trasferiti per spirito di liberalità determinati beni dell’imprenditore prima dell’apertura della successione (in vista del passaggio generazionale nella gestione dell’impresa), ma perché, affianco a tale attribuzione, la legge prevede necessariamente la soddisfazione dei legittimari non assegnatari, mediante liquidazione di un conguaglio (anche in natura) da parte del beneficiario dell’attribuzione, anticipando gli effetti dell’apertura della successione tra legittimari ed anche della divisone ereditaria, limitatamente ai beni oggetto di trasferimento, tenendo conto delle quote di legittima, e rafforzando la definitività delle attribuzioni tutte con l’esclusione dalla collazione e dalla riduzione.”

“Ciò che caratterizza il patto di famiglia, e lo distingue da una qualsiasi donazione che abbia ad oggetto gli stessi beni, è la necessaria presenza del conguaglio in favore degli altri legittimari, esigibile da subito, senza che si debba aspettare l’apertura della successione, a cui si affianca l’impossibilità di assoggettare a collazione e riduzione le attribuzioni così effettuate.”

Le caratteristiche evidenziate rendono unica, anche se complessa, l’operazione negoziale, perché il patto di famiglia è tale solo se alla liberalità in favore del beneficiario si accompagna l’adempimento da parte di quest’ultimo dell’obbligo, previsto dalla legge, di effettuare il conguaglio in favore degli altri legittimari.”

“In sintesi, il patto, da un lato, realizza una liberalità nei confronti del discendente assegnatario e, da un altro lato, assolve ad una funzione solutoria, per quanto attiene alla liquidazione della quota dei legittimari non destinatari dell’assegnazione, anticipando gli effetti non solo dell’apertura della successione, ma anche della divisione tra legittimari”.

Invece, per quanto riguarda il tema principale, ovvero la tassazione del patto, la Cassazione ha affermato che:

“nel patto di famiglia, una volta assoggettati all’imposta sulle donazioni sia il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie al beneficiario sia la liquidazione ai legittimari non assegnatari, occorre applicare l’aliquota e la franchigia relativa al legame di parentela (o di coniugio) con l’imprenditore non solo con riferimento al menzionato trasferimento, ma anche alla connessa liquidazione”.

Proprio perché:

“anche dal punto di vista tributario la soluzione interpretativa operata risponde all’effetto di anticipazione della successione e della divisione tra legittimari, sempre limitatamente ai beni dell’impresa oggetto del trasferimento operato con il patto di famiglia”.

Come agire per tutelare i propri diritti a fronte della successione con patto di famiglia?

Per poter tutelare i propri diritti si potrà avviare una mediazione civile che ha dei costi ridotti per poter tentare di raggiungere un accordo stragiudiziale. Questa è fondamentale perché svolge l’importante funzione di interrompere i termini di decadenza salvando i diritti della persona.

Inoltre, questa procedura permette di raggiungere un accordo che ha lo stesso valore di una sentenza del tribunale.

Se questo accordo non fosse però possibile o le altre parti non volessero partecipare alla mediazione, che è comunque obbligatoria, questa sarà stata comunque utile per il successivo giudizio civile in quanto il comportamento viene valutato al fine di condannare al pagamento delle spese di giudizio.

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