Indice:
- I diritti reali di godimento come “pesi” su un fondo
- La corretta formulazione del “peso” sul fondo: la sua validità
- Come opporre a chiunque il proprio diritto di proprietà? Serve la trascrizione dell’atto
- Un caso particolare: la trascrizione nel quadro “D”
- Conclusioni: quali sono i principi applicabili
- Come agire per tutelare i propri diritti?
I diritti reali di godimento come “pesi” su un fondo
Nella vita di tutti i giorni spesso succede che in un atto di compravendita si inseriscano anche degli oneri o dei pesi che vengono imposti su un fondo (ad es. una servitù di passaggio).
Questi sono i diritti reali di godimento che possono esistere e possono essere opponibili a terzi:
- DIRITTO DI USUFRUTTO;
- DIRITTO DI SERVITU’;
- DIRITTO DI SUPERFICIE;
- DIRITTO DI USO;
- DIRITTO DI ABITAZIONE;
- DIRITTO DI ENFITEUSI
Per esempio può succedere che a seguito della stipulazione di una convenzione tra il Comune e il proprietario originario del fondo per realizzare delle opere di urbanizzazione vengano imposti dei pesi o oneri sul fondo stesso.
Quando poi succede che bisogna frazionare in più parti l’originario unico fondo dove quelle opere sono state realizzate (ad es. passaggi di tubature, scoli, vasche di varianza idraulica etc…), succede ora che queste opere attraversano più fondi, nati dal frazionamento.
Il problema può complicarsi ulteriormente se le opere di cui si parla non siano state completate, ad es. gli allacciamenti alle fognature non sono stati completati.
Il problema che si pone per l’acquirente del fondo che ha diritto di usare queste opere, è quando avrà certezza della possibilità di far valere il proprio diritto?
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La corretta formulazione del “peso” sul fondo: la sua validità
La Corte di Cassazione riunitasi a Sezioni Unite è intervenuta di recente con un’importante sentenza, la n. 28972 del 17 dicembre 2020, in cui ha ribadito il fondamentale principio di tipicità dei diritti reali.
Il caso sottoposto alla Cassazione riguardava quale fosse il significato da attribuire alla clausola di trasferimento di un “negozio posto al piano terra con l’uso esclusivo della porzione di corte antistante distinti al N.C.E.U. (Nuovo Catasto Edilizio Urbano, ndr) alla pagina”, in particolare quale fosse il significato da attribuire alle parole “uso esclusivo”.
La Cassazione a Sezioni Unite è entrata a gamba tesa sulla questione affermando innanzitutto che:
“è da escludersi la compatibilità di un uso di un bene condominiale, tale da impedire l’uso del bene stesso ad altri condomini (artt. 1102 e 1117 c.c.)”
Motiva questa decisione proprio considerando che non si può godere esclusivamente di un bene comune dell’edificio:
“infatti“ un diritto reale di godimento di uso esclusivo, in capo ad un condomino, di una parte comune dell’edificio, privando gli altri condomini del relativo godimento, e cioè riservando ad essi un diritto di comproprietà svuotato del suo nucleo fondamentale, determinerebbe, invece, un radicale, strutturale snaturamento di tale diritto, non potendosi dubitare che il godimento sia un aspetto intrinseco della proprietà, come della comproprietà: salvo, naturalmente, che la separazione del godimento dalla proprietà non sia il frutto della creazione di un diritto reale di godimento normativamente previsto”.
Ma la Cassazione si spinge anche oltre e afferma che quel “diritto di godimento” vantato non può nemmeno assumere la consistenza di una servitù:
“All’inquadramento non osta il principio nemini res sua servit, il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro, giacchè in tal caso l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. 6 agosto 2019, n. 21020, e già Cass. 27 luglio 1984, n. 4457; Cass. 24 giugno 1967, n. 1560; Cass. 22 luglio 1966, n. 2003)”.
“Vi osta la conformazione della servitù, che può sì essere modellata in funzione delle più svariate utilizzazioni, pur riguardate dall’angolo visuale dell’obbiettivo rapporto di servizio tra i fondi e non dell’utilità del proprietario del fondo dominante, ma non può mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente, il che determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso, ancora una volta, nel suo nucleo fondamentale”.
Conclude quindi come ha iniziato:
“del tutto evidente che, se ad un condomino spettasse a titolo di servitù l'”uso esclusivo” di una porzione di parte comune, agli altri condomini non rimarrebbe nulla, se non un vuoto simulacro”.
E si spiega anche in diritto:
“infine, di fronte all’alternativa che si tratti di “un atipico “diritto reale di uso esclusivo”, tale da svuotare di contenuto il diritto di comproprietà, possa essere il prodotto dell’autonomia negoziale […] è da escludere, essendovi di ostacolo il principio, o i principi, sovente in dottrina tenuti distinti, sebbene in gran parte sovrapponibili, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi: in forza del primo solo la legge può istituire figure di diritti reali; per effetto del secondo i privati non possono incidere sul contenuto, snaturandolo, dei diritti reali che la legge ha istituito”.
Questa corposa spiegazione significa che tutte le clausole contrattuali (ad. es. in un atto di compravendita) che fanno riferimento all’esistenza di oneri o pesi sul fondo, ma che non si esprimono con specifici termini che indichino l’esistenza di una servitù, non sono idonee a configurare un diritto reale effettivamente opponibile all’acquirente.
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Come opporre a chiunque il proprio diritto di proprietà? Serve la trascrizione dell’atto
Sempre su questo tema, ovvero quali siano i vincoli opponibili ai terzi, la Cassazione è intervenuta con un’altra decisione, la n. 524 del 14 gennaio 2021, che riguarda un caso particolare.
Qui si trattava di una lite in cui alcuni proprietari si lamentavano del fatto che nella villa “contigua alle abitazioni degli attori, [si tenevano] intrattenimenti e banchetti in assenza delle autorizzazioni amministrative necessarie per l’esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande, contravvenendo in particolare all’art. 9 dell’atto pubblico di compravendita dei lotti di terreno sui quali erano edificate le ville, che imponeva il divieto per gli stessi acquirenti di destinare l’immobile ad attività industriali o commerciali, nel rispetto della destinazione urbanistica della zona ad attività agricola e residenziale, causando disturbo per emissione di rumori molesti, passaggio di mezzi e presenza di persone oltre i limiti di tollerabilità in relazione alla destinazione della zona”.
Il Tribunale di primo grado aveva ritenuto nel merito che la trascrizione di questo limite incluso nell’atto di compravendita avesse natura di servitù e che, di conseguenza, fosse idoneo a renderlo opponibile a chiunque.
La Cassazione, intervenuta successivamente, ha confermato questa soluzione:
“La decisione della Corte d’Appello è conforme alla giurisprudenza di legittimità che con orientamento del tutto consolidato ha ritenuto che, allorché il proprietario di un terreno decida di frazionarlo e venderlo a scopo edificatorio, la pattuizione nei contratti di compravendita di limitazioni a carico degli acquirenti circa la destinazione del bene, ove regolarmente trascritte, costituiscono una servitù prediale reciproca a non tollerare modificazioni delle aree individuate in proprietà alle singole unità immobiliari”.
Lo stesso principio lo applica anche in caso di vendite a lotti di aree fabbricabili:
“Peraltro, anche con riferimento ai piani di lottizzazione, questa Corte ha più volte avuto modo di affermare che, nelle vendite a lotti di aree fabbricabili, le pattuizioni contrattuali, con cui allo scopo di conferire determinate caratteristiche alle zone in esecuzione di un piano di sviluppo si impongano limitazioni alla libertà di utilizzare vari lotti, danno luogo alla costituzione di servitù prediali a carico e a favore di ciascun lotto”.
Aggiunge poi che non è necessario l’utilizzo di parole rituali per costituire una servitù e che, data l’ampiezza del concetto di servitù, questa può comprendere varie forme di vincolo che può essere imposto su un fondo a favore di un altro:
“Ai fini della costituzione convenzionale di una servitù prediale non si richiede l’uso di formule sacramentali, di espressioni formali particolari, ma basta che dall’atto scritto si desuma la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario, sempre che l’atto abbia natura contrattuale, che rivesta la forma stabilita dalla legge ad substantiam e che da esso la volontà delle parti di costituire la servitù risulti in modo inequivoco, anche se il contratto sia diretto ad altro fine” (Sez. 2, Ord. n. 10169 del 2018, Sez. 2, Sent. n. 9475 del 2011). Il concetto di utilitas della servitù è talmente ampio da ricomprendere ogni elemento che, secondo la valutazione sociale, sia legato da un nesso di strumentalità con la destinazione del fondo dominante e si immedesimi obiettivamente nel godimento di questo. In tal modo, può essere soddisfatto ogni bisogno del fondo dominante, assicurandogli una maggiore amenità, abitabilità, o anche evitando rumori o impedendo costruzioni che abbiano una destinazione spiacevole o fastidiosa (Sez. 2, Ord. n. 18465 del 2020, Sez. 2, Sent. n. 4333 del 1979)”.
Quindi quando viene accertato che il vincolo costituito ha assunto effettivamente la consistenza di diritto reale tipico, allora la trascrizione dell’atto che la prevede è sufficiente a permettere la sua opponibilità a chiunque. A contrario, se il diritto reale costituito ha natura atipica, sarebbe quindi irrilevante la trascrizione, anche nel caso in cui venga fatta nonostante il titolo non consentisse la pubblicità, perché non permette di trasformare un diritto reale in diritto assoluto.
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Un caso particolare: la trascrizione nel quadro “D”
C’è un ulteriore caso particolare di rilevanza pratica che è importante trattare.
Può anche succedere che il vincolo sia riconosciuto come diritto reale, ma sia stato segnalato solo nel quadro “D” della nota di trascrizione: quali conseguenze?
Una recente decisione che ha aperto le porte a forti critiche ha stabilito che in questo caso la servitù (il vincolo) fosse ugualmente opponibile ai terzi.
Lo ha detto la Cassazione nella sentenza del 24 giugno 2019, n. 16853:
“La tesi giuridica propugnata nel ricorso, secondo cui la clausola costitutiva di una servitù inserita in un contratto di compravendita immobiliare sarebbe suscettibile, ai fini della sua opponibilità qual effetto del regime di pubblicità immobiliare, di autonoma e separata trascrizione, come tale distinta dalla nota di trascrizione dell’atto di acquisto del bene, non essendo sufficiente allo scopo la sua menzione in essa, trova infatti smentita nella stessa disciplina della pubblicità immobiliare”.
Spiega poi le modalità pratiche di trascrizione, cioè che non è necessario presentare una nota distinta per la trascrizione della servitù:
“In particolare la L. n. 52 del 1985, stesso art. 17, comma 4, che ha introdotto l’informatizzazione della pubblicità immobiliare, precisa che nella nota stessa può farsi menzione delle “eventuali condizioni o patti di natura reale”, formula che comprende certamente anche le clausole di costituzione di una servitù inserite nell’atto di compravendita trascritto. Ne discende che, ai fini della sua opponibilità, è necessario, nel caso considerato, che la nota di trascrizione dell’atto di acquisto del fondo menzioni la costituzione del diritto di servitù, ma non anche che tale diritto sia trascritto in una nota separata e distinta. Tale adempimento, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorso, non è affatto imposto dall’art. 17, comma 3, della citata legge del 1985, il quale, nel fissare la regola secondo cui ciascuna nota non può riguardare più di un negozio giuridico o convenzione, si riferisce all’atto da trascrivere inteso nella sua unità e identità formale, non alle singole clausole contrattuali in esso presenti, che possono prevedere più diritti soggetti a trascrizione e di cui si occupa, come sopra sottolineato, il comma 4 del medesimo articolo”.
Infine conferma un principio risalente nella giurisprudenza della Cassazione:
“La menzionata legge non legittima pertanto alcuna revisione della giurisprudenza risalente di questa Corte, confermata anche dalla giurisprudenza successiva all’introduzione della menzionata legge del 1985, secondo cui affinché il negozio costitutivo di servitù, stipulato contestualmente ad un contratto di compravendita, possa considerarsi validamente trascritto, non occorre che la trascrizione di esso venga effettuata mediante presentazione di una specifica e separata nota, distinta da quella relativa alla vendita, essendo sufficiente che nell’unica nota di trascrizione sia fatta menzione della costituzione della servitù e che le indicazioni riportate nella nota stessa consentano di individuare, senza possibilità di equivoci o di incertezze, gli estremi essenziali della convenzione con riferimento ai beni ai quali la servitù si riferisce (Cass. n. 2626 del 1963; Cass. n. 848 del 1967; Cass. n. 3765 del 1976; Cass. n. 5626/85; Cass. n. 8448 del 1998)”.
E smentisce le argomentazioni del ricorrente:
“Deduce il ricorso a sostegno delle proprie argomentazioni che la trascrizione separata della servitù, nei casi menzionati” sarebbe conseguenza necessaria del fatto che la sua menzione troverebbe spazio nel quadro D del modello di nota predisposto secondo la nuova normativa, che non sarebbe consultabile e quindi conoscibile da parte dei terzi. L’assunto appare però di mero fatto, non risultando dalla normativa di settore la non consultabilità integrale della nota di trascrizione, né infatti il ricorrente menziona alcuna disposizione in tal senso, ed appare pertanto indimostrato, meritando aggiungere che tale inconveniente, come sottolineato dalla dottrina, si presentò solo all’inizio della c.d. prima informatizzazione, ma fu poi integralmente superato con recupero del pregresso”
Conclusioni: quali sono i principi applicabili
In conclusione si rilevano i seguenti principi:
- Se il diritto (vincolo) oggetto di un’apposita clausola contrattuale è configurabile come un diritto reale tipico, allora potrà assumere tale forma ed essere quindi effettivo; in caso contrario questo diritto rimane un diritto relativo che il soggetto avente causa può vantare solo nei confronti del suo dante causa (chi gli ha attribuito quel diritto). Di conseguenza, se questo diritto diventa non esercitabile a causa di terzi che vi si oppongono, l’avente causa potrà solo dolersi dell’inadempimento contrattuale nei confronti del suo dante causa e chiedergli, eventualmente, il risarcimento del danno (artt. 1218 e 1453 cod. civ.).
- Se però il soggetto che vanta quel diritto lo trascrive, allora diverrà opponibile a chiunque; anche nel caso in cui l’acquirente del fondo su cui è imposto il vincolo (cd. fondo servente) non veda la trascrizione della servitù nella propria nota di trascrizione. Quindi il titolare del fondo a cui favore è imposto il vincolo (cd. fondo dominante) può comunque far valere il proprio diritto reale nei confronti di chiunque.
- La trascrizione del diritto è valida anche se viene effettuata solo nel quadro “D” della nota di trascrizione e anche se questa trascrizione non è menzionata nei registri. Da ciò deriva un importante onere di controllo, ovvero bisogna sempre analizzare le note di trascrizione dei titoli anteriori nella loro interezza.
Come agire per tutelare i propri diritti?
Per tutelare i propri diritti reali di godimento nei confronti di chiunque è necessario procedere alla trascrizione degli atti. Spesso però da questa attività possono sorgere controversie sulla consistenza del diritto e, talvolta, sulla sua esistenza.
Per ottenere il riconoscimento dell’esistenza del proprio diritto è possibile sempre avviare una mediazione civile. Una procedura dai costi ridotti che serve per raggiungere un accordo stragiudiziale che ha lo stesso valore della sentenza del tribunale. Con l’accordo di mediazione sarà infatti possibile procedere alla trascrizione del proprio diritto.
Se un accordo non fosse possibile si potrà poi sempre agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.
Lo studio Ticozzi Sicchiero & Partners offre la propria assistenza nell’adempimento di tutte le formalità obbligatorie e necessarie per la corretta trascrizione del proprio diritto reale di godimento e per gli adempimenti necessari ad ottenere il riconoscimento della sua esistenza.
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