Quando si applicano gli interessi di mora?

Indice:

Che cosa sono gli interessi legali di mora e quando si applicano?

Gli interessi di mora corrispondono al risarcimento dovuto dal debitore al creditore per ogni giorno di ritardo nel pagamento del proprio debito.

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Sono disciplinati dall’art. 1284 cod. civ. cui, dopo la modifica del 2014, è stato introdotto il nuovo comma 4: “se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

Sono state date due letture di questo comma:

  1. lettura restrittiva: la regola andrebbe applicata solo alle obbligazioni contrattuali
  2. lettura estensiva: la regola va applicata in tutti i casi in cui si ha un debito di una somma di denaro

Il legislatore non ha dato nessuna indicazione in proposito, neanche nella relazione alla legge che si trova nell’atto del Servizio Bilancio dello Stato 30 ottobre 2014, n. 152, approvato dal Senato (A.S. 1612):
“La relazione tecnica, riferita al testo iniziale, afferma che la disposizione interviene sulla disciplina del tasso di interesse moratorio durante la pendenza della lite, nel senso che, nel caso di mancanza di specifica previsione, la misura del predetto tasso deve considerarsi pari a quella prevista dalle disposizioni in materia di ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali, attuata con D.lgs. n. 231 del 2002”.

Nulla dice anche la commissione della Camera dei Deputati a riguardo, una breve spiegazione si trova in “dossier n. 95” della I commissione della Camera, «Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità̀ costituzionale 29 ottobre 2014: “l’articolo 17 prevede un aumento (dall’1% all’8,15%) del tasso di interesse moratorio in pendenza di un contenzioso civile o di un procedimento arbitrale”.

La tesi della Cassazione…

In una recente sentenza del 7 novembre 2018, n. 28409, la Cassazione ha adottato la tesi restrittiva: gli interessi legali di mora sarebbero dovuti solo quando il giudizio avanti il Tribunale o a degli arbitri ha per oggetto un inadempimento che riguarda un accordo contrattuale, da cui deve derivare anche l’obbligo di restituzione.

Questa è la motivazione della Cassazione:
“la struttura letterale della norma lumeggia che la proposizione iniziale dianzi ritrascritta, proprio per la sua collocazione nella frase, regge la successiva disposizione circa il saggio d’interesse applicabile in conseguenza all’avvio della lite, lumeggiando il diretto collegamento tra la possibilità delle parti di aver previamente pattuito il saggio degli interessi e l’obbligazione fatta valere nella lite giudiziaria od arbitrale, situazione connaturata esclusivamente, nell’ambito delle fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., all’ipotesi dell’accordo contrattuale.

La disposizione in questione apparirebbe altrimenti inutile ripetizione della compiuta disciplina in tema di danni da inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie portata nell’art. 1284 c.c., che opera richiamo all’uopo agli interessi legali ed espressamente prevede il rispetto del saggio d’interesse superiore a quello legale pattuito dalle parti.
Dunque e la struttura letterale della norma e la necessità di individuare un significato proprio della stessa, altrimenti inutile ripetizione, lumeggiano la funzione dell’incipit quale delimitazione all’applicabilità della disposizione in questione.

Un tanto esclude che la citata proposizione iniziale della norma de qua abbia natura di mero inciso per far salva l’autonomia delle parti – già fatta salva in apposita norma -, in una disposizione avente natura universale che correla il saggio d’interesse unicamente all’avvio della lite giudiziale per inadempienza ad obbligazione pecuniaria derivante da qualsiasi fonte”. […] “Quindi si deve concludere che la norma di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, disciplina il saggio degli interessi legali – e come tali dovuti automaticamente senza necessità di apposita precisazione del loro saggio in sentenza – applicato a seguito d’avvio di lite sia giudiziale che arbitrale però in correlazione ad obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte in un contratto stipulato tra le parti, anche se afferenti ad obbligo restitutorio”.

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Una tesi incoerente

Personalmente ritengo che il ragionamento della Cassazione non sia condivisibile. Mi spiego.

In primo luogo la Cassazione è incoerente quando afferma che l’art. 1284 cod. civ. si applica anche agli obblighi restitutori. Infatti quando un contratto è dichiarato nullo o annullato, il rapporto tra soggetti viene demolito alla fonte; ciò è disciplinato agli artt. 2033 e segg. e non dagli artt. 1321 e segg. cod. civ.

In questo senso si è già espressa la Cassazione (vd. Cass., 15 gennaio 2018, n. 715): “qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi in ragione della dichiarazione di nullità, dell’annullamento, della risoluzione o della rescissione di un contratto o del venire comunque meno del vincolo originariamente esistente, l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo” (id., 6 giugno 2017, n. 14013)”.

Perciò l’obbligo di restituzione non si può ricondurre a un accordo che seppur valido non disciplina gli interessi. Ne deriva che la motivazione data dalla Cassazione sopra riportata, che non parla del tema delle restituzioni, è apodittica.

Sulle plurime fonti delle obbligazioni restitutorie ad es. vd. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, pp. 42 e segg.

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La motivazione giuridica

Quando è stato scritto il nostro codice civile nel 1942, in particolare il libro IV titolo I sulle obbligazioni in generale, il legislatore parla di tutte le obbligazioni senza distinguerle (art. 1173 cod. civ.), ma da un’attenta lettura si intende che volesse parlare solo delle obbligazioni contrattuali.

Questa intenzione risulta dal n. 556 della Relazione al codice civile. Si veda anche Giorgianni, L’obbligazione, Milano, 1968, pp. 5 e segg. Abbiamo poi ulteriore conferma di ciò leggendo l’art. 1174 del cod. civ., che chiaramente si riferisce solo ai contratti: “la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore”

Ancora, la Relazione al codice civile ci fornisce la prova inconfutabile, basta rileggere i numeri 554 e 555 per comprendere l’evidente riferimento alle obbligazioni contrattuali; poi il n. 557 che si riferisce all’art. 1174 c.c. mette in evidenza l’interesse deducibile dalla “natura della controprestazione”. Su questo argomento vd. ad es. Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2010, pp. 4 e segg.

Ma questo argomento letterale non è mai stato usato, se non in questo caso dalla Cassazione, per dire che gli articoli 1173-1320 cod. civ. si riferiscono solo alle obbligazioni contrattuali, perché non è così! Invece, questa soluzione potrebbe essere argomentata utilizzando gli articoli sull’adempimento, guardando alle norme del codice civile, ad es. con l’art. 1182: “se il luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita non è determinato dalla convenzione” etc…

Quindi cosa significa? 
Che l’art. 1182 cod. civ. non si può applicare alle obbligazioni restitutorie o nascenti da fatti illeciti o, come le ha indicate la Cassazione, le obbligazioni ex lege? Che quindi per valutare se c’è stato un corretto adempimento nelle obbligazioni non contrattuali non si dovrebbe applicare il dovere di correttezza dato dall’art. 1175 cod. civ.? E così via, anche per tutte le norme che seguono: ad es. l’art. 1183 sul tempo dell’adempimento (“se non è determinato il tempo”); l’art. 1184 sul termine per adempiere (“se per l’adempimento è fissato un termine”) etc…

Ma seguendo quel ragionamento della Cassazione si arriva anche a conseguenze più gravi. Pensiamo all’azione di regresso nelle obbligazioni solidali per le quali l’art. 1284 cod. civ. stabilisce che l’obbligazione si divida in parti uguali tra i vari debitori, “salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi”.

Seguendo il ragionamento della Cassazione l’art. 1284 dovrebbe essere applicato solo alle obbligazioni contrattuali. Quindi in presenza di forme di responsabilità indiretta nascenti da fatti illeciti (ad es. quella dei genitori, art. 2048 cod. civ. – dei datori di lavoro, art. 2049 c.c. – del proprietario dell’auto quando non è conducente, art. 2054 c.c.) chi paga il debito (cd. solvens) non avrebbe il diritto di agire in regresso contro gli altri debitori perché, da un lato, l’art. 2055 c.c. si applica solo ai casi di concorso di colpa -qui totalmente assente- e, dall’altro lato, non esistono altri articoli del codice civile che permettono al debitore che paga di ottenere dagli altri condebitori la loro quota.

Non può essere così. Infatti si è fatto notare a ragione che “il linguaggio legislativo, che si esprime in termini di obbligazione “contratta”, tradisce il convincimento del legislatore di aver regolato, pur sotto il titolo delle obbligazioni in generale, le sole obbligazioni da contratto” (Galgano, op. cit., p. 20).

Lo stesso argomento è stato trattato anche in Bianca, L’obbligazione, Milano, 1993 (ristampa 2015): parte dal presupposto che “l’obbligazione esprime una figura unitaria che si identifica autonomamente quale che sia la fonte da cui deriva” (p. 9), ma riconosce che le norme siano state pensate riferendole principalmente al contratto (p. 11), affermando che “il sistema formale del codice prospetta la disciplina dell’obbligazione come disciplina basilare, la quale viene integrata con quella del contratto” (p. 13).

Questo non è altro che un equivoco, ben spiegato dalla diversa sistemazione nel codice civile della disciplina delle obbligazioni rispetto al codice precedente.

È già stato evidenziato infatti che “l’abrogato codice del 1865 si occupava delle obbligazioni nel libro III, dal titolo “dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose”, in rispondenza chiara, anche se non esplicita, con il principio enunciato dall’art. 710 che, tra i modi con cui si possono acquistare e trasmettere i diritti, indicava la convenzione, cioè una delle fonti delle obbligazioni” (D’Avanzo, Delle obbligazioni in generale, Disposizioni preliminari, nel Comm. D’Amelio-Finzi, Firenze, 1948, p. 1).

Significa che il legislatore nello scrivere il nuovo codice civile era rimasto legato a quel modo di pensare precedente ma ora cambiava la sistemazione della disciplina delle obbligazioni che le comprende tutte (anche qui vd.: Giorgianni, L’obbligazione, Milano, 1968, p. 4 ss., spec. pp. 7-8).

Che questo modo di pensare fosse diffuso al tempo lo si vede ad es. in Colagrosso (Teoria generale delle obbligazioni e dei contratti, Roma, 1948, p. 18 segg.) che, descrivendo i caratteri dell’obbligazione, richiama i requisiti del contratto.

Chiarito l’equivoco non resta che concludere nel senso che la disciplina delle obbligazioni riguarda tutte le obbligazioni, indicate all’art. 1173 cod. civ. La ragione per cui non si erano mai scritte teorie contrarie è che la disciplina delle obbligazioni deve essere costruita in termini di sistematicità senza fermarsi al dato letterale (lo impone l’art. 12 delle preleggi) altrimenti si potrebbe arrivare a soluzioni incoerenti. Per esempio dovremmo arrivare a dire che il matrimonio è un contratto (art. 774 c.c.).

È utile rileggere le parole di Messineo (op. cit., p. 37) “si rilevi che la terminologia adoperata dal legislatore del 1942 è assai oscillante e denota mancanza di un sicuro orientamento, per incertezza di concetti”.

Quando si applicano gli interessi di mora? A ogni tipo di debito

Non condividiamo quindi l’interpretazione della Cassazione -per cui l’art. 1284 cod. civ. permetterebbe di applicare gli interessi di mora solo ai rapporti contrattuali- che può portare a gravi conseguenze introducendo nella disciplina delle obbligazioni del codice civile (libro IV, titolo I) un elemento fortemente discordante con la lettura coerente dell’intero libro delle obbligazioni, che ora non ci serve.

Come agire per tutelare i propri diritti agli interessi?

E’ un diritto chiedere gli interessi sul capitale prestato perché stabilito dalla legge.

Per chiedere gli interessi si potrà fare una diffida formale al debitore. Successivamente avviare una mediazione civile che ha dei costi ridotti per poter tentare di raggiungere un accordo stragiudiziale. Questa è fondamentale perché svolge l’importante funzione di interrompere il decorso dei termini di decadenza dell’impugnazione della delibera salvando i diritti della persona.

Inoltre, questa procedura permette di raggiungere un accordo che ha lo stesso valore di una sentenza del tribunale.

Se questo accordo non fosse però possibile o le altre parti non volessero partecipare alla mediazione questa sarà comunque utile per il successivo giudizio civile in quanto il comportamento viene valutato al fine di condannare al pagamento delle spese di giudizio.

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