Imposta di registro negli accordi transattivi e divisionali tra coeredi e comunisti secondo recenti sentenze della Cassazione

Imposta di registro e accordi ereditari o tra comunisti: di tutta l’erba un fascio?

Il calcolo dell’imposta di registro negli accordi transattivi e divisionali è complesso. Circola in rete una notizia secondo la quale una sentenza della cassazione del 2021 avrebbe detto che l’imposta sui conguagli dovuti in sede divisoria sarebbe sempre pari all’1% della somma dovuta a conguaglio. Poiché la notizia mi pareva diversa da quanto è noto, ho approfondito la questione.

Il calcolo dell’imposta di registro varia a seconda della tipologia di accordo che gli eredi del defunto o i comunisti possono raggiungere. Inoltre, l’imposta varia anche a seconda delle modalità di distribuzione patrimoniale tra eredi o comunisti. In questo senso, la scelta del professionista di regolare i rapporti patrimoniali tra eredi o comunisti utilizzando uno specifico assetto contrattuale ha conseguenze profonde sulle tasche dei propri clienti. Aspetto cui bisogna prestare sempre maggiore attenzione per evitare di incappare in responsabilità, ne ho parlato approfonditamente qui: Esimenti alla responsabilità professionale del Notaio nella giurisprudenza recente (Cassazione 12 marzo 2025, n. 6636)

Calcolo dell’imposta di registro sulla divisione “semplice”

L’art. 34 t.u.imp. registro, nel primo comma per la prima parte, indica che:

“la divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente.

La massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione”

Non importa ora la recente aggiunta relativa alla determinazione dell’asse con calcolo delle donazioni soggette a collazione, il problema è questo: quale imposta si paga sul conguaglio?

Il testo della disposizione è di una chiarezza esemplare: determinata la quota di competenza dell’erede, l’eccedenza è vendita da parte di chi riceva una quota inferiore, perché avrebbe “venduto” la parte che non gli giunga ed ovviamente a favore di chi riceva una quota superiore.

Il condividente che riceva la quota di maggior valore potrà bilanciare tale vantaggio mediante un conguaglio al venditore, ovvero pagamento del relativo prezzo o, a seconda degli accordi, trattenere senza pagare alcunché (ipotesi in cui vi siano aspetti transattivi che magari non emergono). Altrimenti si dovrebbe pensare ad una donazione dell’eccedenza o ad un relativo trasferimento senza causa (e quindi nullo).

Fiscalmente, comunque, il cliente pagherà l’imposta sulla somma “dovuta” a conguaglio.

-Leggi anche: I poteri di controllo dei Consigli Notarili non di iscrizione: sentenza Corte d’appello di Roma 24 ottobre 2024

Gli accordi ricostruttivi di legittima tra coeredi

Accanto alla divisione che riguardi una comunione sorta per atto tra vivi, è più frequente che la stessa abbia ad oggetto una massa ereditaria e non è raro, anzi, che qualche legittimario avanzi pretese assumendo di essere stato leso nella legittima, per le note attribuzioni a titolo gratuito avvenute anche indirettamente ad opera del de cuius.

Per definire la vicenda al di fuori delle aule dei tribunali si utilizzano due sistemi:

  1. la transazione
  2. o la divisione che si attui senza nulla concedere in più di quanto spettasse al legittimario

In tal senso i c.d. accordi ricostruttivi di legittima sono tali a patto che non emerga alcun aspetto transattivo e che le attribuzioni rispecchino esattamente le quote ereditarie di competenza: solo così scontano l’imposta di registro in misura fissa. Inoltre, riguardando i legittimari, saranno soggetti alla franchigia che spetta nelle successioni in linea retta e/o a favore del coniuge entro il tetto di 1 milione di euro.

D’altro canto non può parlarsi di ricostruzione di legittima se non a favore di legittimari, com’è ovvio, gli altri soggetti non sono tutelati in ordine alla successione.

Secondo una giurisprudenza tributaria, “gli “accordi di reintegrazione di legittima” sono da considerare atti “mortis causa“, assoggettati in quanto tali all’imposta sulle successioni e, conseguentemente, ai fini dell’imposta di registro, sono soggetti a tassazione nella sola misura fissa.

La tassazione in misura fissa dei predetti accordi è infatti giustificata dalla riconducibilità degli stessi agli atti e ai documenti formati per l’applicazione delle imposte e tasse ai sensi del TUR:

“irrilevante è la circostanza che l’accordo sia stato stipulato precipuamente per il fine civilistico di evitare l’esperimento dell’azione di riduzione, in quanto il requisito formale è richiesto proprio dall’art. 43 del TUS ed ai soli fini dell’imposta di successione, non incidendo in alcun modo sulla validità dell’accordo sotto il profilo civilistico”: Corte di giustizia tributaria di secondo grado Friuli-V. Giulia Trieste, Sez. I, 14/10/2022, n. 219.

Le precisazioni di Cassazione, Sez. trib., 17/1/2019, n. 1141 sulla natura di questi accordi introduce una distinzione

Senonchè deve trattarsi appunto di reintegrazione di legittima, non di accordi che abbiano anche altro contenuto, diventando altrimenti contratti dal contenuto transattivo (o misto, a seconda) che non si limitano a quella funzione.

Infatti Cass. civ., Sez. V, 17/1/2019, n. 1141 ha precisato a tal fine che:

“gli accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari sono assoggettati all’imposta di registro ai sensi dell’art. 29 del d.P.R. n. 131 del 1986, e non a quella di successione, ove non abbiano natura meramente ricognitiva dell’inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive, ma siano volti a modificare e/o integrare le stesse, poiché le attribuzioni concordate tra gli interessati non hanno natura ereditaria ma concretano un trasferimento”

La sentenza n. 1141 del 2019 è particolarmente importante perché distingue, agli effetti della tassazione, tra accordi di pura reintegrazione di legittima ed accordi transattivi tra coeredi.

Infatti qualifica così gli accordi di reintegrazione di legittima:

“il legittimario, in alternativa alla via giudiziale, può addivenire ad un accordo negoziale con i beneficiari delle disposizioni lesive, al fine di vedere ripristinati i propri diritti, accordo non tipizzato dal legislatore, che ha rimesso alla autonomia privata l’individuazione del concreto assetto negoziale attraverso il quale raggiungere il risultato voluto, cioè quello di reintegrare la quota di riserva, o quantomeno un valore corrispondente a tale quota; a tale tipologia di accordi, i quali tengono luogo della sentenza che accoglie la domanda di riduzione delle disposizioni lesive, viene generalmente attribuita natura non transattiva, ma meramente ricognitiva, di accertamento, in quanto i soggetti interessati riconoscono l’inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive, mentre la qualificazione in termini di transazione richiede pur sempre l’esistenza dell’elemento delle reciproche concessioni, che il codice civile (art. 1965 c.c.) prevede come essenziale, e che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7548/2003), deve desumersi dallo stesso contenuto dell’atto, volto a prevenire una lite (l’esperimento dell’azione di riduzione), ovvero a mettere fine alla lite medesima”

Di conseguenza, sottolinea:

“l’ammissibilità di tale figura negoziale, ampiamente riconosciuta in dottrina, non rilevandosi alcun divieto di legge, viene espressamente affermata dal legislatore in una norma tributaria, il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 43″

la Corte evidenzia che:

“la disposizione sancisce una sorta di neutralità fiscale del negozio tra vivi, risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, successivo all’apertura della successione, e volto alla reintegra dei diritti dei legittimari, in quanto lo sottrae dall’ambito di applicazione dell’ordinaria imposta di registro, per assoggettarlo all’imposta di successione, in coerenza con l’effetto che gli è proprio, l’acquisto ex lege (a causa di morte) della quota di legittima del patrimonio del defunto, tant’è che esso va trascritto, ai sensi dell’art. 2648 c.c., comma 3, e art. 2650 c.c., nonchè annotato, ai sensi dell’art. 2655 c.c., ai margini della trascrizione dell’originario acquisto lesivo, al fine di assicurare la continuità delle trascrizioni”

-Leggi anche: Notai: responsabilità per annotazione illegittima di cancellazione di ipoteca? Cass., 9 gennaio 2025, n. 486

Gli accordi transattivi tra coeredi

Le cose vanno diversamente se non si tratti di mera reintegrazione di legittima, ad es. perché ci sono reciproche concessioni:

“al legittimario leso nei propri diritti non è preclusa l’opzione di stipulare un negozio avente natura transattiva (artt. 1965 c.c. e ss.), ma in tal caso la tassazione dell’accordo segue le ordinarie regole in tema di imposta di registro, avuto riguardo ai concreti effetti (anche eventualmente traslativi) voluti dalle parti contraenti, in quanto le attribuzioni concordate tra gli interessati non hanno natura sostanzialmente ereditaria, e non sono soggette, quindi, all’applicazione dell’imposta sulle successioni, ma si inseriscono, attraverso il meccanismo delle reciproche concessioni, nella composizione di una lite, attuale o futura, originata da una pretesa lesione dei diritti di legittima, secondo le contrapposte tesi delle parti”

Con la precisazione che:

“in detta ipotesi, la norma in tema di successione necessaria rileva soltanto come presupposto del negozio, e non lo caratterizza causalmente, perchè le parti litigiose, con la transazione, intendono sostituire una regolamentazione nuova a quella precedente, che aveva dato luogo al contrasto, e per far ciò esse necessariamente dispongono del diritto controverso, per cui le aspettative del legittimario vengono reintegrate in senso puramente economico, evitando nel contempo che in futuro il medesimo possa proporre l’azione di riduzione”

Di conseguenza l’imposta di registro seguirà le aliquote ordinarie, a seconda del contenuto dell’accordo e dunque dal minimo del 3% del valore in su a seconda di quali beni siano trasferiti.

Il conguaglio attribuito in sede divisoria tra coeredi può allora rappresentare la prova di un accordo transattivo -tant’è che assume fiscalmente natura di prezzo per la vendita- ed in tal caso non vi è più quella neutralità fiscale che deve caratterizzare la pura ricostruzione di legittima. Infatti Cass., 23/2/2024, n. 4884 dice che:

“in materia di imposta di registro, l’art. 34 del d.P.R. n. 131/1986 pone una presunzione assoluta (iuris et de iure) in forza della quale l’eccedenza di valore dei beni assegnati rispetto alla quota sulla massa comune nella divisione è invariabilmente sottoposta al trattamento tributario della compravendita, non rilevando la volontà delle parti o le pattuizioni intercorse tra i condividenti”

Si ritiene sì che l’imposta di registro sia sempre dell’1% anche se l’intera massa sia attribuita ad uno solo dei condividenti, con conguaglio agli altri (Cass. 28/03/2018, n. 7606), ma qualora emerga anche l’intento transattivo, allora vi sarà la tassazione che attiene a questo contratto (art. 29 t.u.imp. registro) e non alla divisione pura.

-Leggi anche: Repertorio notarile: quali conseguenze per l’omissione o l’irregolare tenuta?

La transazione tra coeredi “dichiarativa”

Inoltre, solo la transazione tra coeredi c.d. dichiarativa, che contiene reciproche rinunce, è sottoposta ad imposta fissa di registro (Cass., 10/08/2022, n. 24642; 12/08/2015, n. 16723 ecc.), non quelle che prevedano conguagli o attribuzioni in genere.

Una massima apparente di una sentenza ha affermato che:

“l’atto nel quale l’erede trasferisce ai legittimari pretermessi delle quote di eredità, con ciò componendo un contrasto tra le parti già oggetto di sentenza, non è una transazione, ma un negozio avente natura e funzione di sistemazione successoria. L’atto è quindi soggetto ad imposta di registro nella misura dell’1% e i trasferimenti di diritti immobiliari in esso contenuti non ricadono nella previsione dell’art. 1, Parte I della Tariffa allegata al T.U.R.” (Cass., 9/06/2021, n. 16028)

Tuttavia di questa decisione va letta la motivazione:

“l’accertamento della natura transattiva, o meno, di un negozio è rimesso all’apprezzamento di fatto del giudice di merito ed è sottratto al sindacato di legittimità … Nella fattispecie, il convincimento espresso dal giudice di appello risulta raggiunto mediante il corretto svolgimento d’attività interpretativa delle clausole contrattuali…”.

Quindi il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato dichiarato inammissibile, senza una pronuncia sul merito della questione: la massima è “mentitoria”.

La transazione tra coeredi “attributiva”

Con riferimento alla transazione tra coeredi cd. “attributiva”, invece Cass., 13/11/2019, n. 29382 ha detto chiaramente che:

“i contratti di transazione che prevedono gli obblighi di pagamento vanno assoggettati all’imposta di registro nella misura proporzionale, con applicazione dell’aliquota pari al 3%, dato che la misura fissa è stabilita soltanto per le transazioni dalle quali non deriva alcuna obbligazione di pagamento”

La conclusione è che una divisione tra eredi che non comporti una pura ricostruzione di legittima, ma trasferisca altri valori, ponendo fine alla controversia tra eredi, deve ritenersi una transazione divisoria, tassata così come appena indicato.

Lo ha detto, anche se non di recente, Cass., 15/06/1989, n. 2874:

“una scrittura privata contenente la rinuncia ad un diritto <eventuale> su di un’eredità contro corresponsione di una somma di denaro, costituisce una transazione con effetto dispositivo del diritto <eventuale> e non un contratto aleatorio avente ad oggetto una semplice spes, avuto riguardo allo scopo del negozio che consiste nel prevenire il possibile insorgere di liti future ed alla determinatezza delle rispettive prestazioni definite mediante reciproche concessioni attraverso le quali, aliquo dato, aliquo retento, si modificano rapporti giuridici con efficacia non meramente dichiarativa ma costitutiva; di conseguenza deve applicarsi l’imposta proporzionale di registro sui beni immobili oggetto della transazione, in quanto prevalenti nell’asse ereditario”

-Leggi anche: Esimenti alla responsabilità professionale del Notaio nella giurisprudenza recente (Cassazione 12 marzo 2025, n. 6636)

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