Indice:
- Le sedi del notaio: l’attività tra sede, recapito ed altri luoghi
- La decisione di dicembre 2024
- Le nuove norme dei Principi di deontologia in vigore dal primo gennaio 2025
- Il rapporto tra sede e recapito, quali limiti?
- Il recapito non dichiarato
- Gli atti stipulati fuori sede (ma non nel recapito)
- Difesa nel procedimento disciplinare notarile
Le sedi del notaio: l’attività tra sede, recapito ed altri luoghi
Cosa intendiamo per sedi del notaio? E’ ben noto che il notaio non può sovvertire il rapporto che intercorre tra la sede a lui assegnata -che dunque non è scelta ma dipende dall’esito del concorso e delle successive richieste di trasferimento- ed il recapito, che invece è aperto dal notaio, se lo voglia, nell’ambito territoriale indicato dall’art. 26 l.n.
Oggi l’art. 6 dei nuovi Principi di deontologia prevede che “la funzione pubblica del notaio è caratterizzata dallo stretto legame con la sede assegnatagli, al fine di soddisfare le esigenze della collettività”, precisando al terzo comma che “il dovere di assistenza alla sede impone una presenza costante e sistematica del notaio con modalità predeterminate e conoscibili”.
Non è però raro che presso il recapito l’attività svolta sia considerevole, ma deve pur sempre essere rispettoso del rapporto di “secondarietà” rispetto alla sede; ma come si determina questo criterio?
La decisione di dicembre 2024
La recente decisione della II sezione della Cassazione, 2/12/2024, n. 30799 è intervenuta nuovamente sul delicato tema del divieto di prestazioni ricorrenti del notaio in luoghi di terzi, ipotesi di illecito regolata fino al 31 dicembre 2024 dall’art 31 lett. f) dei Principi di deontologia ed oggi nell’art. 37 dei nuovi Principi.
Il caso è del tutto eccezionale, perché l’illecito risaliva a prima di giugno del 2014 e la sentenza della cassazione è di dicembre 2024, giunta dopo che aveva già cassato, con la sentenza n. 16542/2020, la precedente decisione della corte d’appello di Venezia.
L’illecito era quindi ormai prescritto ma la Cassazione, applicando un meccanismo identico a quello previsto dall’art. 159 c.p.p., anziché dichiarare appunto la prescrizione, ha assolto il notaio nel merito e questa scelta è davvero lodevole.
La questione di fatto riguardava l’aver il notaio aperto un ufficio secondario fuori dal distretto di appartenenza, stipulando 141 atti posti in essere fuori dal proprio territorio, che però contemplavano 31 atti presso studi di altri notai e 57 ricevuti presso lo studio tecnico di un geometra. Il tema era quindi se sussistesse il requisito della “ricorrenza” delle prestazioni eseguite fuori dal distretto e fuori dal recapito in quanto pari al 8,42% del lavoro complessivo.
Ricorda la Cassazione, che “la locuzione “ricorrenti prestazioni” presso terzi o organizzazioni o studi professionali, descritta dal ridetto art. 31, lett. f), del Codice deontologico, è stata interpretata da questa Corte, proprio nell’ambito di questo giudizio, nel senso che incorre nel relativo divieto il professionista che abbia rogato fuori dalla propria sede istituzionale un consistente numero di atti, pari ad una percentuale rilevante della totalità degli atti dallo stesso notaio rogati in un ragionevole arco di tempo, non inferiore all’anno solare, e che “l’espressione “ricorrente” fa riferimento ad una attività notarile svolta tendenzialmente o sistematicamente fuori della sede istituzionale del notaio.
Anche in questo caso, perciò, per comprendere se il Notaio abbia violato il divieto di apertura di un ufficio secondario di cui all’art. 10 citata è necessario considerare se normalmente, tendenzialmente, sistematicamente, il Notaio di che trattasi svolge la sua funzione fuori dello studio istituzionale e a tal fine sarà necessario determinare la totalità degli atti rogati in un arco di tempo ragionevole (che può essere quello di un anno solare) e verificare se la maggiore quantità degli atti rogati siano stati rogati nella sede istituzionale ovvero in sede diversa.
Il notaio incorrerà nel divieto di aprire un ufficio secondario di cui all’art. 10 più colte citato nel caso in cui, la maggior parte degli atti, relativamente ad un ragionevole arco di tempo (comunque non inferiore all’anno solare) risultano rogati presso studi di altri professionisti od organizzazioni estranei al Notariato” (Cass. Sez. 2, 28/12/2017, n. 31006).
Il principio affermato da questa Corte con la suddetta pronuncia, che afferma un criterio per così dire quantitativo, allorché considera attività “normalmente, tendenzialmente, sistematicamente” svolta fuori dalla sede istituzionale quella consistente nella realizzazione della “maggiore quantità degli atti rogati”, è stato evidentemente disatteso dai giudici del rinvio, avendo essi ritenuto integrata la violazione e reputato non irrisorio o trascurabile il dato rilevato, nonostante il notaio avesse rogato fuori sede, nell’arco di diciotto mesi, soltanto l’8,42 % del totale degli atti rogati (147 su 1.675) e, dunque, molto meno del limite individuato da questa Corte perché possa dirsi integrata la condotta contestata”.
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Le nuove norme dei Principi di deontologia in vigore dal primo gennaio 2025
C’è però una seconda questione che si pone oggi in forza dei nuovi Principi di deontologia, ovvero gli artt. da 6 a 10.
Oltre ad essere stato ribadito che la sede è il luogo principale dell’attività notarile, in cui deve essere garantita la presenza personale del notaio nei giorni indicati al consiglio, l’art. 13 aggiunge che “la ricorrente presenza del notaio in luoghi diversi dalla sede e dall’ufficio secondario rileva ai fini della violazione dell’obbligo di unicità dell’ufficio secondario e del divieto di procacciamento d’affari“.
Invece la formula del previgente art. 10, era che “equivale all’ufficio secondario la ricorrente presenza del notaio presso studi di altri professionisti od organizzazioni estranee al Notariato”. Va infatti evidenziata la differenza tra la presenza in luoghi diversi dalla sede e dal recapito ed il precedente richiamo ai luoghi comunemente indicati con la locuzione “di terzi”. Infatti oggi emerge l’attenzione anche al possibile ulteriore “luogo” del notaio (ulteriore rispetto al recapito), oltre che a quello di terzi.
La formula dell’art. 31 dei Principi in vigore fino al 31 dicembre (come oggi l’art. 37) vietava l’incarico ad intermediari, posto che questo avrebbe violato il dovere di imparzialità; la stessa disposizione imponeva di avvisare l’altra parte qualora il notaio avesse ricevuto l’incarico della stipula di un mutuo da una banca o di una vendita da parte del costruttore: come si vede, non c’era accenno al luogo della stipula ma solo al soggetto che avesse incaricato il notaio o gli avesse procacciato il cliente.
L’unico accenno ad utilizzo di spazi diversi dalla sede e dal recapito era nell’art. 7, comma 2: “il Consiglio Notarile, per ragioni organizzative e di sicurezza di specifici settori di attività, può consentire l’utilizzazione di locali separati dallo studio“.
Il tema è allora quello della legittimità dell’attività che il notaio svolga al di fuori della sede e del recapito, ovviamente entro l’ambito territoriale indicato dall’art. 26 l.n.: esistono limiti? Non parlo ovviamente dell’ipotesi occasionale del notaio che si rechi in ospedale per raccogliere un testamento o una procura, ma del notaio che operi una gran parte del suo lavoro al di fuori della sede, anche in misura complessivamente superiore a quella appena indicata dalla cassazione (e che ovviamente è un dato elastico).
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Il rapporto tra sede e recapito, quali limiti?
E’ giurisprudenza costante che non si possa invertire il rapporto tra sede e recapito (Cass., 6/12/2016, n. 24962, 4/12/2002, n. 17202, 14/01/2000, n. 19 ecc.); quindi i repertori e gli atti non possono uscire dalla sede.
Il tema è però un altro, ovvero quanti atti si possano stipulare nel recapito, per non sovvertire questo rapporto, dato che nessun numero compare né nei Principi né nel Regolamento del 1914 né nella Legge notarile.
Le varie sentenze che si occupano del tema rilevano pressoché sempre la presenza del notaio nel recapito, nei giorni in cui avrebbe dovuto assistere alla sede e questo è un palese illecito, ma raramente si parla di percentuali degli atti compiuti nel recapito per confrontarli con quelli stipulati in sede. Ad es. Cass., 17/04/2013, n. 9358 ha ritenuto che vi fosse quell’inversione con un numero di atti “nella specie, oscillante tra il 62 e il 71 per cento peraltro non giustificata da specifiche esigenze della clientela”. Evidentemente uno sproposito, al di fuori della normalità.
A mio modo di vedere perché l’attività sia lecita occorre che:
- non sia disattesa la presenza in sede nelle fasce orarie dei giorni di presenza comunicati al Consiglio di iscrizione e
- che il numero di atti stipulati nel recapito non superi il numero degli atti stipulati in sede.
Anche un rapporto 51% contro 49% mi sembra rispettoso del fatto che “il luogo principale degli affari”, parole con cui il codice civile indica il domicilio, sia la sede e non il recapito. Mi riferisco proprio al numero degli atti, non al valore degli affari, perché potrebbe altrimenti bastare un solo atto con cui si venda un immobile di prestigio a rovesciare interamente il rapporto sede/recapito.
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Il recapito non dichiarato
Ritengo che un altro argomento rilevante a proposito del recapito si ricavi “a contrariis“, ovvero accertando se siano rispettati gli obblighi di assistenza alla sede, come definiti dagli art. da 6 a 8 e se, nell’operare fuori sede, vi sia una presenza tale in un determinato luogo, da fargli assumere natura di recapito e questa presenza sia esteriorizzata mediante apposizione della targa, nome nel campanello ed indicazioni nel sito del notaio.
In tal caso la sua apertura deve essere rispettosa delle indicazioni degli art. 9 e 10 dei Principi e dunque, oltre a venir comunicata ai consigli di appartenenza e di competenza territoriale, deve essere munita di un’adeguata struttura di ricezione dei clienti.
Peraltro si può parlare di studio secondario laddove vi sia appunto una struttura organizzata sistematicamente, aperta al pubblico, perchè un semplice luogo che il notaio abbia a propria disposizione (non un ufficio o uno studio di altri intendo) senza alcun segno distintivo (targa, nome sul campanello, numero di telefono) e dipendenti, più che un ufficio secondario diventa una sorta di “sala stipula diffusa“, un’estensione dell’ufficio usata per comodità ma inidonea ad essere collettore di clientela e quindi di far concorrenza ad altri notai.
Ne parla oggi l’attuale art. 12 dei Principi ma per certi casi: “il Consiglio Notarile, per ragioni organizzative e di sicurezza di specifici settori di attività, può consentire l’utilizzazione di locali separati dallo studio, come l’ufficio protesti o l’ufficio aste”.
Per altri locali del notaio (non di terzi), separati dalla sede ma non strutturati né pubblicizzati, non ritengo che occorra l’autorizzazione del Consiglio; insisto: purché l’attività non sia esteriorizzata con apposizione della targa e sua pubblicità nel sito del notaio e sempreché queste appendici dell’ufficio non vedano la “ricorrente” presenza del notaio, altrimenti diventa un recapito non dichiarato.
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Gli atti stipulati fuori sede (ma non nel recapito)
Può poi capitare che il notaio stipuli atti in luoghi sempre diversi: ad es. presso banche, cosa frequente per i mutui o magari in un locale del costruttore che venda i propri appartamenti.
I Principi (art. 37 comma 5 lett. f) hanno mantenuto l’illiceità disciplinare del notaio che “svolge ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali” e dunque il notaio che, in modo “ricorrente” stipuli atti nella sede di un’agenzia immobiliare rientra in questa fattispecie.
Qui occorre prestare attenzione alle parole: infatti mentre un’agenzia immobiliare è terza rispetto a compratore e venditore, non lo è una banca che conceda un mutuo, essedo parte dell’atto.
Secondo la vigente formula del secondo comma dell’art. 27, il notaio deve di informare le parti, se una di loro si avvalga di un intermediario, del suo diritto di scegliere il notaio che preferisca, sicché quando le parti si presentino da lui in quanto suggerito dall’agenzia immobiliare, deve dare questo avvertimento. Lo stesso art. 27 aggiunge che “lo stesso obbligo sussiste nei confronti delle controparti di imprenditori (costruttori, banche, assicurazioni) ed enti pubblici, che pongano in essere una pluralità di atti della stessa tipologia negoziale”, con la differenza sopra ricordata, che in tal caso l’atto non sarà stipulato in un luogo “di terzi” -com’è un’agenzia immobiliare- ma in un luogo “della parte”.
L’unico tema che resta in una “zona grigia” è quello della compravendita stipulata in banca quando sia stipulato contestualmente il mutuo: per il primo atto, a ben vedere, la banca è un luogo “di terzi”, perché non è la venditrice o l’acquirente. Troverei però singolare vietare al notaio questa stipula, perché corrisponde invece all’interesse delle parti: quale banca erogherebbe il mutuo se contestualmente non riceva l’atto di assenso all’iscrizione di ipoteca, facendola subito iscrivere dal notaio, che ha a mani anche l’atto di vendita da trascrivere? Ritengo quindi che lo stretto collegamento tra i due atti, necessario per avere il mutuo, consenta al notaio di redigere entrambi.
Ed infine: c’è un limite alla stipula degli atti fuori sede e recapito? A mio parere l’unico limite è che, fermo il rispetto delle giornate e fasce orarie di presenza comunicate al Consiglio, la sede resti quantitativamente il luogo principale degli affari del notaio e quindi almeno il 51% degli atti complessivi siano stipulati in sede.
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Difesa nel procedimento disciplinare notarile
Lo studio Ticozzi Sicchiero & Partners e l’avvocato professore Gianluca Sicchiero difende i propri clienti anche in materia di disciplinare notarile.
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