Guida alla vendita a rischio e pericolo: Cassazione n. 27709/2024

Indice:

Il problema della vendita a rischio e pericolo

Il tema della vendita a rischio e pericolo dell’acquirente (art. 1488 c.c.)  è molto delicato, perché coinvolge interessi contrapposti. E’ ben noto che spesso risultano intestazioni catastali di terreni a nome di persone nate da oltre un secolo; conservo copia di avvisi di esproprio di mappali di proprietari nati alla fine del XIX secolo e qui è evidente che c’è stato uno scollamento ormai irrecuperabile tra proprietà effettiva e risultanze catastali.

D’altro canto la mia esperienza di difensore in sede disciplinare mi ha fatto scoprire la vendita di terreni del demanio ferroviario come anche l’accorpamento di vari fondi, tutti acquistati a rischio e pericolo da un certo acquirente che poi, assunta la qualità di imprenditore agricolo, ha ottenuto finanziamenti UE che si sono quindi volatilizzati assieme a lui, mentre i veri proprietari catastali rivendicavano i propri diritti sui loro terreni

Dunque la vendita a rischio e pericolo non può essere eliminata, perché talora è l’unica via d’uscita: come ritrovare tutti gli eredi di un emigrato nel sud America di 100 anni fa? Ma deve essere una soluzione utilizzata con la massima cautela, dove la professionalità del notaio serve ad impedire che si compiano crimini o anche puri illeciti civili.

La giurisprudenza della cassazione

Il problema della vendita a rischio e pericolo è stato nuovamente affrontato dalla recente decisione della Cassazione 25/10/2024, n. 27709.

E’ stata anzitutto ribadita la correttezza della sentenza di merito, che non aveva “in alcun modo inteso porre in discussione la possibilità che possa procedersi ad un atto di alienazione a titolo oneroso, ovvero a titolo liberale, come nel caso di donazione, anche nell’ipotesi in cui l’alienante assuma di essere divenuto titolare del bene alienato non già per un acquisto a titolo derivativo, ma per effetto di un acquisto a titolo originario, e precisamente a titolo di usucapione, sebbene questa non sia stata ancora accertata”.

Che questo sia possibile anche per le donazioni era stato già detto nei precedenti di Cass. n. 17558/2023, nonché Cass. n. 8626/2022 e dunque la legittimità del trasferimento operato in questi termini sembra fuori discussione. Vero è che la donazione a rischio e pericolo di un bene appare molto sospettosa, seppure praticabile nei casi particolari sopra citati; qui l’aspetto più delicato è connesso alla nullità della donazione di cosa altrui per mancanza di causa (Cass., sez. un. 15/3/2016, n. 5068), diversamente dalla vendita di cosa altrui, che al peggio si può solo risolvere (art. 1479 c.c.). Sicché, pur essendo vero che il donante afferma che il bene sia suo per usucapione ancorché non accertata giudizialmente (e questo basta secondo Cass., 20/6/2023, n. 17558 e per Cass., 16/3/2022, n. 8626, che cito subito di seguito), è necessario che non emergano dati in manifesto senso contrario perché, ove poi fosse dichiarata la nullità della donazione, il notaio ne sarebbe coinvolto ex art. 28 l.n.

Invece per la compravendita, oltre alla decisione in esame, si può ricordare la motivazione della appena ricordata Cass., 16/3/2022, n. 8626:

“Questa Corte, riprendendo il principio a suo tempo affermato da Cass. n. 2485/2007, secondo cui non è nullo il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell’usucapione, ancorchè l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario, ha di recente ribadito che (Cass. n. 7853/2018) per il trasferimento del bene acquistato per usucapione non è necessario che l’accertamento sia intervenuto in sede giudiziale, e senza che quindi ciò si ripercuota sulla validità del relativo atto di trasferimento (in senso conforme Cass. n. 4106/2019)”.

Ciò si applica appunto anche alla donazione.

Il ruolo del notaio

Il tema riguarda semmai la funzione del notaio in queste attività, che la corte ribadisce essere “quella di attribuire pubblica fede agli atti compiuti a presidio e garanzia, non solo delle parti contraenti che allo stesso si rivolgano per la stipula di un atto, ma anche della collettività che deve fondare un ragionevole convincimento circa la tendenziale corrispondenza al vero di quanto riportato negli atti che vedono l’intervento di tale professionista”.

La prima verifica che la Corte ritiene necessaria ad opera del notaio riguarda le risultanze dei “registri immobiliari e catastali, che proprio perché idonee a porre in evidenza chi ancora risultava essere l’intestatario formale del bene” in quanto idonee a “mettere sull’avviso circa l’esistenza di un titolare formale, rispetto al quale poteva mettersi in dubbio la stessa veridicità dell’affermazione di avvenuta usucapione da parte del donante”. Questo controllo dovrà essere effettuato anche per le donazioni.

Dice poi la Corte che comunque “il notaio rogante, che ha un obbligo di informazione e chiarimento nei confronti delle parti, è tenuto a precisare nell’atto, dopo averlo accertato, che il compratore ha ben chiaro il rischio che assume con l’acquisto, mediante apposita clausola da menzionare nel quadro “D” della nota di trascrizione, al fine di segnalare altresì a terzi la carenza della pubblica fede notarile con riguardo alla provenienza dell’immobile e all’inesistenza di formalità pregiudizievoli. (Cass. n. 32147 del 12/12/2018)”.

Di conseguenza “l’omesso avvertimento all’acquirente, da parte del notaio, circa i rischi connessi ad una compravendita rispetto alla quale l’alienante dichiari di avere acquistato il bene per usucapione, senza il relativo accertamento giudiziale, ha rilevanza disciplinare con riguardo all’illecito derivante dal combinato disposto di cui agli artt. 147, comma 1, lett. b), della L. n. 89 del 1913, da un lato, e 50, lett. b) nonché 14, lett. b) del codice deontologico”. Inoltre il rispetto degli obblighi di chiarezza e di completezza dell’atto rogato, comporterebbe che debbano “risultare le indicazioni emergenti dalle visure ipotecarie e catastali per un periodo comprensivo del ventennio anteriore alla stipula, per un completo esame delle risultanze degli atti di provenienza, delle formalità pregiudizievoli e, in genere, delle formalità pubblicitarie relative all’immobile”.

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Dunque è solo una questione di controllo formale?

Come ben si comprende, un trasferimento a rischio e pericolo è valido e quindi il notaio non può nemmeno rifiutarsi di stipularlo, data la previsione dell’art. 47 l.n.; il suo intervento sembra limitarsi da un lato alle verifiche delle risultanze catastali ed immobiliari, senza dire però come debba comportarsi quando emergerà ovviamente che il venditore non è titolare del diritto nei registri, posto che altrimenti non si parla di vendita a rischio e pericolo. Dall’altro si estenderà alle necessarie informazioni da fornire alle parti al momento della stipula ed ai terzi, con apposite indicazioni da inserire nel quadro D) della nota.

Per ricondurre a coerenza queste affermazioni, si deve dire che il notaio, accertata la mancanza di continuità nelle trascrizioni in capo al trasferente nonché l’assenza di intestazione catastale a suo nome, dovrebbe avvisare le parti di tutto ciò facendolo risultare dall’atto (anche ad evitare un’ipotetica futura azione di annullamento dell’acquirente per errore riconoscibile) e menzionare il problema nel quadro D) della nota. Dopo di che saranno affari dell’acquirente se emerga ad es. che l’intestatario nei registri sia anche l’attuale possessore e non abbia mai subito alcuna usucapione.

Nessuno ha però parlato della conformità catastale

C’è però comunque un problema che nelle sentenze non è stato affrontato, ovvero quello della conformità soggettiva prevista per i fondi urbani dall’art. 29 l. n. 52/1985: “prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari“.

Anticipo: ora esaminiamo le disposizioni, non le prassi, perché occorre verificare cosa dica il legislatore. Bisogna infatti prestare attenzione alle parole: la nullità prevista dalla norma in questione è riferita alla necessità di dichiarazione di conformità oggettiva che spetta alle parti, non al notaio, cui si chiede solo di procedere “all’identificazione catastale” dell’immobile, cosa che non manca mai negli atti.

Inoltre – sempre seguendo la norma alla lettera- ben può essere che l’intestazione catastale sia a nome di una persona diversa dal venditore e che la stessa persona risulti anche proprietario nei registri dell’agenzia del territorio: queste disposizioni non chiedono infatti al notaio di fare altro che queste verifiche. Ad essere formalisti fino all’ultimo, l’art. 29 non dice nemmeno cosa debba fare il notaio se, compiute le verifiche, risulti una difformità tra intestazione catastale e risultanze dei registri immobiliari, né si trova alcuna indicazione nell’intera l. n. 52/1985.

Infatti Cass., 29/9/2020, n. 20526 ha detto che questa specifica previsione, diversamente dalla dichiarazione di conformità oggettiva, “non è invece assistita da alcuna sanzione di nullità dell’atto rogato senza la sua osservanza, cosicchè il mancato rispetto della stessa risolve i propri effetti esclusivamente sul piano della responsabilità delle parti e del notaio (per quest’ultimo, tanto sul piano disciplinare quanto su quello dell’esatto adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto d’opera professionale)”; sentenza che ha ammesso la trasferibilità ex art. 2932 c.c. di un bene pur sussistendo il disallineamento catastale, negando che il giudice sia tenuto ad alcun accertamento in proposto.

Non è quindi escluso, né questo è stato detto dalla cassazione, che anzi sembra avallare quello che scrivo, che l’atto non si appoggi ad una continuità di trascrizioni nei registri immobiliari e nemmeno di trasferimenti indicati nel catasto, pure per gli immobili urbani.

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La disciplina catastale sul disallineamento

Vi sono alcune disposizioni vigenti, come peraltro ha già scritto L. Iberati in Intestazione catastale e intestazione reale nella normativa sulla conformità castale (Federnotizie, 2017), cioè l’art. 2 del d.m. 19 aprile 1994, n. 701 nonché l’art. 5 del d.p.r. 18 agosto 2000, n. 308, che devono essere prese in considerazione perchè mi paiono decisive.

La prima disposizione, intitolata “Regolamento recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle  conservatorie dei registri immobiliari”, al comma 4 dell’art. 2 prevede che “qualora non vi sia concordanza tra la situazione dei soggetti titolari del diritto di proprietà o di altri diritti reali e le corrispondenti scritture catastali, è fatto obbligo al notaio ed agli altri pubblici ufficiali che ricevono atti o autenticano firme su atti civili, giudiziari e amministrativi, che danno origine a variazione di diritti censiti in catasto, di fare menzione, nell’atto medesimo e nella relativa nota di trascrizione, dei titoli che hanno dato luogo ai trasferimenti intermedi o delle discordanze”.

Dunque laddove manchi la possibilità di indicare nell’atto i titoli intermedi, occorrerà esplicitare le discordanze, ovvero indicare che il venditore è privo di titolo a proprio favore, questa essendo la discordanza tra titolare catastale e venditore non titolare catastalmente.

Ai fini del successivo aggiornamento, l’art. 4 comma 2 precisa che è “consentito ai proprietari o ai titolari di altro diritto reale di aggiornare la posizione catastale, relativa ai soggetti o ai beni, mediante presentazione di domanda di voltura corredata da relazione notarile, alla quale, ove la discordanza interessi i beni, è annessa apposita relazione tecnica, redatta da professionista abilitato alla presentazione di documenti tecnici e catastali”.

Quanto al d.p.r. 18 agosto 2000, n. 308 (Regolamento concernente l’utilizzazione di procedure telematiche per gli adempimenti tributari in materia di atti immobiliari), il suo art. 5 prevede al comma 2 che “nel caso in cui non vi sia concordanza fra i soggetti intestati in catasto e quelli risultanti dall’atto, il pubblico ufficiale indica nel modello unico gli estremi degli atti e denunce che hanno dato luogo ai passaggi intermedi o alle discordanze fra le ditte”.

Anche qui vi è conferma che la discordanza tra intestatario catastale e venditore non impedisce il trasferimento, ma comporta la sola necessità di indicare il fatto.

Ma decisivo è anche l’art. 4 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 650 (Perfezionamento e revisione del sistema catastale), il cui comma 7 indica che “quando per tutti o per una parte degli immobili oggetto di trasferimento non vi è concordanza fra la ditta iscritta in catasto e quella dalla quale si fa luogo al trasferimento stesso, la domanda di voltura deve anche contenere un elenco specificante gli atti o documenti che hanno dato luogo ai passaggi intermedi fra le ditte di cui sopra; ovvero, quando i passaggi intermedi non sono stati convalidati da atti legali, una dichiarazione della parte cedente, autenticata da chi provvede alla rogazione od emanazione od autenticazione, ovvero un atto notorio in caso di trasferimento per causa di morte, dimostranti la cronistoria dei passaggi medesimi”.

Questa disposizione, che disciplina il catasto terreni, si applica ex art. 14 anche al catasto fabbricati. Spetterà poi al catasto procedere alla voltura con riserva, notificando all’intestatario catastale tale evento (art. 8. c. 2, d.p.r. n. 650/1972), provocandone quindi l’eventuale reazione, ma non potrà rifiutare la richiesta di voltura in ragione del disallineamento.

La lettura coerente delle varie disposizioni

Dunque l’art. 29 della l. n. 52/1985 va interpretato in conformità con queste disposizioni: il notaio “prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”; una volta che accerti che il venditore non è il soggetto titolare catastalmente -e non può essere diversamente, dato che stiamo parlando di vendita a rischio e pericolo- non può rifiutare l’atto ma (laddove non si arrivi all’aggiornamento prima della stipula, perché impossibile), deve indicare nel medesimo tale situazione, perché l’art. 29 l. n. 52/1985 altro non impone.

La già ricordata sent. 29/9/2020, n. 20526, ha detto appunto che “la legge si limita a prescrivere, “prima della stipula”, una “verifica“; non fa cenno, nel suo tenore letterale, alla necessità di un previo allineamento, ossia alla necessità che, ove dalla necessaria verifica emerga la mancanza di conformità soggettiva, si effettuino, prima della stipula, le volture necessarie ad allineare le risultanze del catasto a quelle dei registri immobiliari”.

E’ ben vero che la sentenza ha anche precisato di non voler prendere posizione sul fatto che questo principio si applichi anche all’attività dei notai, ma ha  profilato per loro questa alternativa, che prima o poi andrà affrontata: “se il notaio che rilevi la mancanza di conformità soggettiva sia tenuto, ai sensi della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, al c.d. pre-allineamento catastale/ipotecario e, dunque, a ristabilire prima della stipula dell’atto, ove ciò sia possibile, la corrispondenza tra intestatari catastali e soggetti titolari del potere dispositivo degli immobili oggetto dell’atto”.

O invece “se il notaio adempia alla disposizione in commento già soltanto procedendo alla suddetta verifica e limitandosi, in caso di riscontrata mancanza di conformità catastale soggettiva, a dare atto di tale mancanza nel testo del contratto, non solo nei casi in cui il pre-allineamento sia impossibile (come, per fare un solo esempio, nell’ipotesi dei c.d. atti a cascata, nei quali il medesimo immobile costituisce oggetto di una pluralità di atti successivi ricevuti contestualmente dal notaio) ma anche nei casi in cui detto pre-allineamento sarebbe possibile”.

Dunque, seguendo questa indicazione, giammai si potrebbe imporre al notaio di rifiutare l’atto se l’allineamento non risulti possibile.

Infine, essendo tenuto a chiedere la voltura catastale (art. 3, c. 1, d.p.r. n. 650/1972), il notaio deve dare atto che sussiste la discordanza soggettiva ed allegare alla domanda di voltura catastale, la dichiarazione della parte, autenticata, dove la medesima “dimostri la cronistoria”, dichiarando di aver posseduto per almeno 20 anni il bene di chi risulta intestatario catastalmente  e quindi di essere il proprietario per usucapione non accertata giudizialmente, magari inserendo la precisazione che trattasi di trasferimento legittimo ai sensi dell’art. 1488 c.c., come affermato ripetutamente dalla corte di cassazione con le sentenze che si possono indicare.

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Possibili contrasti giurisprudenziali

In tale contesto mi pare superficiale (se presa alla lettera) l’affermazione che si coglie in alcune sentenze della Cassazione per cui “in tema di atti notarili, la dichiarazione richiesta del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 19, comma 14, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122, riguarda la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali; l’omissione determina la nullità assoluta dell’atto, perchè la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, comma 1” (v. ad es. Cass., 15/9/2022, n. 27181 o 29/8/2019, n. 21828 ed altre).

In realtà queste decisioni riguardano l’assenza della dichiarazione nell’atto che “riguarda la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene” e quindi parlano dei dati oggettivi che riguardano l’immobile, non della sua intestazione soggettiva (che comunque l’art. 29 l. n. 52/1985 nemmeno prevede).

Queste decisioni prendono spunto dalla prima che è stata resa in materia, ovvero la sent. 11/4/2014, n. 8611, nella cui motivazione è detto che “la formulazione sommaria della norma non richieda formule tassative o sacramentali, essendo sufficiente che risulti dal testo dell’atto in maniera inequivoca il contenuto prescritto riguardante la corrispondenza tra i dati dell’immobile riportati in catasto e la planimetria depositata con lo stato di fatto”, appunto riferendosi ai beni, non ai soggetti.

Ma anche a ritenere che queste decisioni riguardino l’omessa dichiarazione di conformità soggettiva, il che proprio non mi consta, si riferirebbero appunto a questa assenza, non alla dichiarazione, resa ex art. 4 d.p.r. n. 650/1972,  delle ragioni per cui la conformità manchi, posto che qui sarà sempre possibile la tassazione così come regolata dalle disposizioni fiscali cui quelle decisioni si richiamano. L’alternativa, infatti, è che non sia mai possibile la vendita a rischio e pericolo, in evidente difformità con le sentenze che invece la ammettono senza discussioni, da quella in esame risalendo al passato, in applicazione dell’art. 1488 c.c., che vige.

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In conclusione, la vendita a rischio e pericolo è stipulabile

Ammessa la possibilità di stipulare la vendita a rischio e pericolo anche se riguardi immobili urbani per i quali difetti l’allineamento catastale, resta la necessità che sia proprio il notaio ad impedire comportamenti truffaldini come quelli indicati in apertura. Anche laddove non si ravvisi un obbligo di procedere ad un aggiornamento catastale in continuità, ciò non toglie che il notaio abbia un obbligo deontologico di verificare se l’allineamento sia eseguibile, sebbene faticoso e costoso, anche perché le imposte vanno pagate e qui emerge il ruolo di pubblico ufficiale del notaio stesso.

Tuttavia, l’allineamento ben può essere materialmente impossibile rispetto ad intestatari scomparsi da decenni e dunque l’atto deve essere stipulato.

Questo non toglie che, comunque, il notaio debba ancora accertare se davvero un bene possa essere oggetto di vendita a rischio e pericolo: i beni del demanio ferroviario non si possono vendere, punto e basta, anche se ho letto gli atti di vendita (a dirla tutta, vendita di enfiteusi, davvero un caso che ha lasciato senza parole me, non la co.re.di che lo ha giudicato).

Quando infine risultino intestatari catastali di epoche recenti, sembra davvero difficile accettare l’idea di una usucapione non dichiarata, dato che devono essere decorsi almeno 20 anni dall’ultimo acquisto; sarebbe forse troppo chiedere al notaio, prima di stipulare, di provare lui a contattare gli intestatari catastali, prima che lo faccia il catasto, dato che deve volturare con riserva?

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