Contestazione del conto corrente: le clausole nulle e il cd. “saldo zero” novità dalla Cassazione 2024

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Contestazione del conto corrente: i motivi di nullità

Nel caso oggetto della decisione della Cassazione un correntista (si chiama così il cliente della banca che stipula un contratto di conto corrente) avviava un giudizio nei confronti della propria banca chiedendo la restituzione di oltre € 250.000 che riteneva asseritamente percepiti in modo indebito dalla banca.

La contestazione del conto corrente si fondava sulla asserita percezione indebita di somme da parte della banca che aveva riscosso interessi sulla base di clausole del contratto di conto corrente comunque invalide. Sosteneva quindi che fosse assente una giusta causa che giustificasse specifici versamenti fino all’ammontare dichiarato.

La correntista ha agito quindi nei confronti della banca per la rideterminazione del saldo del conto corrente. La domanda si qualifica quindi come una di ripetizione di indebito oggettivo.

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La nullità delle clausole del conto corrente

In tema di contratto di conto corrente sono nulle le clausole che violano la legge.

  • Applicazione di interessi anatocistici: se la banca applica interessi su interessi viola l’art. 1283 c.c.
  • Mancanza di contrattazione di una specifica clausola per la pattuizione contrattuale degli interessi: la banca deve applicare gli interessi legali se non è convenuto un tasso diverso.
  • Applicazione di interessi usurari: per il calcolo del tasso d’usura si deve fare riferimento alla rivalutazione trimestrale calcolata dal M.E.F. (qui) come disposto dall’art. 3 della legge n. 108/1996

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Chi deve fornire la prova della violazione di legge o delle clausole del contratto?

In questi tipi di giudizi è fondamentale precostituirsi i documenti necessari a dimostrare la fondatezza delle proprie pretese per fare in modo che i propri diritti non siano compressi dal semplice mancato deposito dei documenti necessari.

Nell’ordinanza in commento la Cassazione si dilunga infatti sulla distribuzione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.. Il principio generale vorrebbe che chi allega un fatto deve anche fornirne la relativa prova. In via eccezionale si applica il principio di vicinanza della prova: ovvero, per chi è più facile fornire la prova su di esso ricade l’onere.

Nelle cause contro la banca ovviamente la banca può più facilmente reperire i documenti che il cliente, ma per i giudici non sempre questo principio si applica così in modo netto, ad esempio nell’ordinanza in commento si è stabilito: “l’onere, cd. dovere libero, che risponde alla figura logica dell’imperativo ipotetico, se vuoi a) devi b), è l’imposizione di una condotta per la realizzazione di un interesse non di altro soggetto, come nell’obbligo, ma proprio di colui che, essendone titolare, lo fa valere in giudizio. La prova dell’indebito, pertanto, può darsi anche producendo solo una parte degli estratti conto ed utilizzando altri mezzi come la c.t.u.”. 

In questo senso spesso si richiede comunque al ricorrente di fornire il principio di prova di ciò che chiede sia dimostrato.

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Richiedere alla banca i documenti necessari prima del giudizio

Il correntista ha comunque diritto di ottenere dalla banca, ma a spese proprie, tutta la documentazione di cui ha bisogno.

Lo stabilisce l’art. 119 comma 4 del Testo Unico Bancario:

4. Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione“.

In questo senso diventa quindi onere del correntista richiedere la documentazione alla banca prima di avviare il giudizio, altrimenti si preclude al correntista di chiedere al giudice di ordinare l’esibizione di documenti alla banca.

La Cassazione ribadisce questo principio anche in questa occasione: “il diritto spettante al cliente (…) ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto (…) può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’art. 210 c.p.c. (…) a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca e quest’ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato”. 

Però la Cassazione precisa che la possibilità di richiedere i documenti alla banca “non sta a significare che il cliente, una volta introdotta la causa in veste di attore, non possa più avvalersi dell’art. 119 co. 4 T.U.B.“. Questo significa che anche una volta avviato il giudizio il correntista potrà chiedere i documenti alla banca.

Ottenere la prova della nullità delle clausole in giudizio

In generale, secondo l’orientamento più recente della Cassazione, il pagamento di un indebito a una banca relativamente a un contratto di conto corrente può essere provato sia dai documenti dimessi dalle parti, ma, qualora i documenti dimessi siano parziali, il giudice può ricostruire il rapporto di conto corrente con qualsiasi altro strumento idoneo a dimostrare l’andamento del conto.

In questo senso il giudice può valorizzare anche documenti diversi dagli estratti conto per ricavare l’andamento del conto corrente.

Da un punto di vista giuridico significa che non si applicano i limiti previsti dall’art. 2721 c.c.: ovvero, si può fornire la prova anche per testimoni!

Queste le parole della Cassazione: “nelle azioni suddette (di indebito oggettivo nei confronti della banca ndr) colui che agisce allega la dazione senza causa di una somma di denaro non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa, sicché può assolvere l’onere della prova di questo fatto al di fuori dei limiti provatori previsti per i contratti, atteso che detti limiti son applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà negoziale e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo alla esecuzione di uno specifico rapporto giuridico“.

In ogni caso si potrà dimostrare il saldo del conto corrente chiedendo lo svolgimento di una ctu in giudizio.

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Che valore hanno i documenti scaricati da app home banking?

La Cassazione è intervenuta di recente anche con riferimento ai documenti scaricabili dall’app di home banking di ogni cliente.

Il giudice per determinare il saldo del conto corrente può valutare anche gli estratti conto e i documenti scaricati dal cliente dalla propria app di home banking se non sono stati contestati dalla banca.

La Suprema Corte lo ha stabilito nella sentenza n. 2607 del 2024 pubblicata il 29 gennaio: “in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito oppure anche la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta dal correntista avvalendosi del servizio di home banking, se non contestata in modo chiaro, circostanziato ed esplicito dalla banca quanto alla sua non conformità a quanto evincibile dal proprio archivio”. 

Se il cliente della banca è un privato si deve rispettare anche il codice del consumo

E’ un orientamento recente quello aperto dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 9479 del 06.04.2023 per cui in tutti i rapporti di credito se la banca ha stipulato un contratto con un privato allora si deve verificare che si siano rispettate le regole stabilite dal Codice del Consumo.

In particolare la banca deve rispettare gli articoli 33 e seguenti del codice del consumo:

  • Art. 33 Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore
  • Art. 34 Accertamento della vessatorietà delle clausole
  • Art. 35 Forma e interpretazione
  • Art. 36 Nullità di protezione

Ad es. stabilisce l’art. 36: “Sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di: a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di  un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto“.

E’ quindi importante rivedere tutti i contratti firmati con la banca anche sotto questo profilo per verificarne la legittimità.

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Difesa nelle controversie di diritto bancario

Lo studio legale Ticozzi Sicchiero & Partners offre la propria assistenza anche in materia bancaria difendendo privati e banche.

Avere il parere di un professionista è sempre utile per comprendere come muoversi. Lo studio Ticozzi e Sicchiero offre consulenza legale anche in tema di contratti permettendo al cliente di conoscere i propri diritti.

Cosa fare se ci si trovasse in una situazione simile? Per poter tutelare i propri diritti di consumatore è sempre possibile fare ricorso a una formale diffida nei confronti del professionista per poter interrompere la prescrizione e decadenza dei propri diritti. Una diffida è anche utile a instaurare un dialogo con la controparte in modo da tentare di raggiungere un accordo stragiudiziale.

Se il tentativo di accordo dovesse fallire è possibile fare opposizione all’esecuzione attendendo dunque che sia il professionista a chiedere il pagamento e in giudizio far valere le proprie ragioni.

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