Danno cagionato da animali selvatici: quando l’amministrazione deve risarcire? (Cass. 4671 e 5339/2024)

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Danno cagionato da animali selvatici: esiste una responsabilità dell’amministrazione pubblica?

Le due pronunce della Cassazione hanno ad oggetto casi simili ma in parte distinti. La sentenza n. 4671 riguarda la richiesta di risarcimento dei danni subiti in occasione di un sinistro stradale occorso su una strada provinciale in cui il conducente ha impattato contro un ungulato che improvvisamente gli aveva attraversato la strada. La sentenza n. 5339 riguarda invece sempre il risarcimento dei danni subiti per un incidente stradale occorso per la presenza di cani randagi lungo la strada pubblica.

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Anzitutto la responsabilità dell’amministrazione deriva dal fatto che essa sia patrimonio indisponibile dello Stato. La disciplina fondamentale relativa al controllo e al contenimento della fauna selvatica trova il proprio riferimento normativo nella L. n. 157 del 1992, e successive modifiche. In particolare l’art. 1 stabilisce: “La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale“.

Questa normativa che è nazionale e generale deve però essere completata con le singole normative regionali che disciplinano nello specifico gli obblighi delle pubbliche amministrazioni di contenimento della fauna selvatica.

In Veneto la materia ha trovato la propria disciplina nella L.R. 9 dicembre 1993, n. 50, successivamente modificata e integrata (da ultimo anche dalla L. R. n. 15 del 27 luglio 2023).

Rimane sempre un problema di prova…

Una volta individuata l’amministrazione competente (Regione, Comune o Provincia Autonoma) nel caso di sinistri causati dalla fauna selvatica per dimostrare la colpevolezza dell’amministrazione e ottenere il risarcimento del danno bisogna fornire il 50% + 1 di prova di colpa/responsabilità altrui.

Fornisce una spiegazione accurata della conseguenza pratica la sentenza n. 4671: “questa Corte con sentenze nn. 7969/2020, 8384/2020, 13848/2020, 8385/2020 e 19101/2020 ha mutato orientamento in punto di imputazione della responsabilità per i sinistri stradali determinati da fauna selvatica. In base a tale nuovo indirizzo si applica alla fattispecie l’articolo 2052 c.c. in quanto è proprio dal tenore letterale di detta norma che si prevede espressamente la sussistenza della responsabilità del proprietario o dell’utilizzatore sia che “l’animale fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o sfuggito”, prescindendo perciò dalla effettiva custodia dell’animale. Il danneggiato, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’articolo 2052 c.c., dovrà dare prova della dinamica del sinistro e del nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso oltre all’appartenenza di quest’ultimo alle specie protette o comunque al patrimonio indisponibile dello Stato, mentre, in caso debba trovare applicazione il principio di cui all’art. 2054 c.c., deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno“.

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Si deve pertanto applicare l’art. 2052 c.c. che stabilisce: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito“.

Tra presunzioni di responsabilità e onere della prova: quali esiti possibili?

Seguendo questa impostazione in questi casi c’è un concorso di presunzioni di responsabilità tra il conducente (di aver fatto il possibile per evitare l’incidente) e l’ente proprietario della fauna selvatica (di aver fatto il possibile a contenere la fauna selvatica dall’andare in strada). In questo senso la vittoria in giudizio dipende dalla prova che si fornisce della responsabilità altrui, e in particolare gli esiti possibili sono i seguenti:

  1. se uno solo dei soggetti interessati (conducente / ente) superi la presunzione posta a suo carico, la responsabilità graverà sull’altro soggetto;
  2. se tutti e due vincono la presunzione di colpa, ciascuno andrà esente da
    responsabilità;
  3. se nessuno dei due raggiungere la prova liberatoria, la responsabilità graverà su
    entrambi in pari misura

Il diverso caso dell’onere di contenimento degli animali randagi

La responsabilità per i danni causati dagli animali randagi si atteggia in modo simile a quella relativa agli animali selvatici, ma non rispetta le medesime regole.

Nella sentenza n. 5339 la Cassazione spiega che si tratta di una responsabilità: “diversa da quella prevista per la fauna selvatica protetta (tanto che alla prima non può applicarsi il diverso regime definitivamente elaborato da questa Corte per la seconda fin da Cass. 7969/20, costantemente ribadito in seguito), pur essendo disciplinata dalla regola generale di cui all’art. 2043 c.c. trova fondamento, prima ancora che nell’accertamento della colpa dell’ente preposto, in quello, preliminare, dell’esistenza in capo ad esso di un obbligo giuridico avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività vincolata in base alla legge (la cattura dell’animale randagio)“.

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In questi casi non trova applicazione l’art. 2052 c.c. come in quelli finora descritti, ma si deve invece applicare la regola generale del risarcimento del danno contenuta nell’art. 2043 c.c. perché non sussiste quel rapporto di proprietà che invece esiste tra lo Stato e gli animali selvatici. In questo senso, lo Stato (e gli enti amministrativi ) non hanno un dovere di “custodia” nei confronti degli animali randagi.

La prova del danno cagionato da animali randagi

La conseguenza pratica che deriva dall’applicazione dell’art. 2043 c.c. anziché dell’art. 2052 c.c. sta nella presunzione di prova.

Mentre quando si è in tema di responsabilità da animali selvatici si applica una presunzione di prova nei confronti dell’amministrazione, quando ci si trova nel caso degli animali randagi il danneggiato deve fornire l’effettiva prova che l’amministrazione è rimasta inadempiente rispetto agli obblighi che le sono imposti dalla legge (nazionale o regionale) in tema di animali randagi.

Queste le parole della Cassazione: “non basta che la normativa regionale individui nel Comune il soggetto (o meglio: uno dei soggetti) avente(i) il compito di controllo e di gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo che chi si assume danneggiato, in base alle regole generali, alleghi e dimostri il contenuto della condotta obbligatoria esigibile dall’ente e la riconducibilità dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria, in base ai principi sulla causalità omissiva“.

in Veneto Legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60si tratta sempre della , che contiene anche specifiche norme sul randagismo.

In base agli obblighi imposti dalla legge si dovrà quindi verificare la concreta condotta esigibile da parte dell’amministrazione per la prevenzione del randagismo e dei danni che ne possono derivare.

Nel caso oggetto della pronuncia la Corte ha ritenuto che: “l‘onere del danneggiato è quello di provare, anche per presunzioni, l’esistenza di segnalazioni o richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi“. Questo è infatti necessario per far attivare l’amministrazione al recupero coattivo dei cani randagi.

Come muoversi per chiedere il risarcimento?

Se si ha avuto un incidente con un animale selvatico o con un animale randagio è utile anzitutto cercare di capire se la strada su cui si correva e il tipo di animale con cui ci si è scontrati rientrano nei casi sopra descritti per cui è possibile agire in giudizio per chiedere il risarcimento alla pubblica amministrazione competente.

Come abbiamo spiegato, la legge è molto variegata sul punto e bisogna coordinare la legge nazionale con quelle regionali per comprendere quali sono i doveri in capo alla pubblica amministrazione da cui ne deriva l’obbligo di risarcire il danno se non si è provveduto al corretto contenimento.

Prima di avviare una causa è possibile avviare una mediazione civile per raggiungere un accordo stragiudiziale. La mediazione ha dei costi più contenuti di una causa e qualora l’amministrazione non vi partecipasse questo avrà delle conseguenze sulla ripartizione delle spese nel futuro giudizio.

L’alternativa è procedere con l’avvio di una causa avanti il Tribunale (o al Giudice di Pace in base al valore della controversia) oppure con un giudizio di ATP per verificare con una consulenza tecnica ante giudizio che determinerà in modo definitivo qual è stata la dinamica dell’incidente. Punto di partenza per comprendere l’estensione della responsabilità della pubblica amministrazione.

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