L’usucapione tra parenti coeredi spiegata bene

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L’usucapione tra parenti coeredi

L’art. 922 del codice civile indica, tra i modi di acquisto della proprietà, anche l’usucapione. L’usucapione è però un modo di acquisto anche dei diritti reali minori, cioè dei diritti su beni altrui. Si può quindi usucapire una servitù di affaccio o di passaggio, purchè ci siano opere visibili come indica l’art . 1061 c.c., ma si può usucapire anche il diritto di usufrutto ecc., il codice non pone limiti formali. L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà “a titolo originario”, cioè senza riconoscere diritti di terzi, beninteso se si è posseduto in questo modo. Si chiama in termini latini usucapio libertatis.

Come avviene l’usucapione?

Il termine usucapione deriva dal latino, prendere tramite l’uso. Significa che si utilizza un bene di altre persone senza riconoscere il loro diritto. Ad es. chi abita in un appartamento di altri pagando il canone, non può usucapire, perché il pagamento dimostra che si riconosce che la proprietà spetta ad altri. Se invece si entra in un’abitazione di altri e si viva lì in modo palese, cioè non di nascosto ma alla luce del sole, allora inizia così il possesso idoneo all’usucapione (art. 1140 c.c.). Non tutti i comportamenti si possono qualificare possesso. Secondo la Cassazione, ad es., la semplice attività di coltivazione del terreno altrui non darà luogo ad usucapione, perchè non dimostra la volontà di appropriarsi del terreno, mentre sarà idonea se, oltre a coltivare la terra di altri, la si chiude con una rete. Però questo modo di acquistare la proprietà non è legittimo ed infatti occorre un tempo molto lungo perché si concretizzi. Il termine ordinario è di venti anni (art. 1158 c.c.) , che talora si riduce a 10 (art. 1159 c.c.) o meno in casi particolari (art. 1159 bis c.c.).

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Come si impedisce l’usucapione?

Il titolare del bene che viene posseduto da altri ha un solo modo per impedire l’usucapione, cioè interrompere quel possesso. Non può però farlo con la forza, sebbene sia il titolare del diritto, deve invece rivolgersi al giudice. Se usa la forza, rischia di essere portato in giudizio dal possessore, cui dovrà restituire il bene (art. 1168 c.c. ), anche se provvisoriamente, perchè comunque il proprietario ha comunque diritto di riaverlo con una sentenza che ordina al possessore di restituire il bene o, secondo i casi, interrompere il possesso. Sembra una stranezza, ma il codice vieta di farsi ragione da soli.

Ovviamente se il proprietario viene spossessato da un atto violento, ha diritto di difendersi nell’immediatezza dei fatti, ma se non c’è questa contestualità occorre rivolgersi alla forza pubblica, ad es. se andando nella casa di vacanza si trova un occupante.

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Talora si ritiene che inviando una diffida a mezzo raccomandata si impedisca l’usucapione del possessore. E’ un’idea sbagliata ed anzi molto pericolosa. Infatti se colui che riceve la diffida continua a possedere il bene altrui, quella raccomandata diventa una prova del possesso!

L’usucapione tra parenti coeredi

Quando un bene di una persona che muore cade in successione, è frequente che venga usato da un solo coerede. In questi casi può verificarsi un’usucapione tra parenti coeredi. Capita alle volte che i coeredi già abitassero nella casa del defunto. Secondo la corte di cassazione “il coerede che, dopo la morte del titolare, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso. A tal fine egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”. Non è sufficiente per questo possesso l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune” (3/11/2022, n. 32413 ma anche 8/4/2021, n. 9359).

Queste parole di contenuto tecnico spiegano anzitutto che i coeredi sono tutti possessori del bene del defunto, come indica l’art. 1146 c.c.  e quindi possiedono insieme “uti condomini” e “animo proprio”, cioè comportandosi da proprietari. Per configurare l’usucapione tra parenti coeredi, uno dei coeredi deve decidere di possedere escludendo gli altri, quindi “uti dominus”, deve far capire loro questa sua volontà, ovvero deve escluderli dal possesso. Ad es. l’erede che abita la casa caduta in successione, deve cambiare le serrature ed impedire agli altri di entrare, esponendosi ovviamente alla loro reazione in giudizio.

Irrilevanza della sola inerzia dei coeredi

Il punto più importante delle decisioni è che se chi vuol possedere da solo non dimostra agli altri l’intenzione di diventare unico titolare, resterà comproprietario, perché non basta che gli altri eredi non usino il bene. Si esclude quindi l’usucapione tra parenti coeredi se uno di essi fa semplicemente valere che gli altri non abbiano usato il bene in questione. Il senso delle decisioni è che un coerede non può approfittare ad es. della benevolenza degli altri, che lo lasciano in quella casa, perché la loro tolleranza (art. 1144 c.c.) impedisce il possesso valido agli effetti dell’usucapione. Anche qui la cassazione ha dato indicazioni dicendo che mentre la tolleranza va dimostrata da chi la afferma, perciò tra estranei il proprietario deve dare la prova della propria benevolenza verso chi possiede, invece tra parenti la si può ritenere presunta.

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E per i beni mobili?

L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà anche dei beni mobili. Se mi prestano una bicicletta e mi rifiuto di restituirla per 20 anni, la usucapisco se il proprietario non mi porta in giudizio.

C’è però una regola particolare: chi compra un bene mobile da un soggetto che non sia proprietario, ne diventa immediatamente proprietario a condizione che fosse in buona fede, che abbia pagato il bene e che questo gli sia stato consegnato (art. 1153 c.c.). E’ una regola che ha centinaia di anni e si spiega perché se un ladro vende un bene rubato e chi compra è in buona fede secondo le circostanze, allora non c’è modo di impedire il danno. Se il bene fosse restituito al proprietario che lo trovi presso il terzo (questa era la regola del diritto romano), l’acquirente perderebbe infatti il prezzo che ha pagato al ladro. Non c’è modo di salvare entrambi se non si trovano ladro e soldi: o il proprietario perde il bene o l’acquirente perde il prezzo.

La regola che salva l’acquirente è nata perché nel XIII secolo nessuno si fidava di comprare beni mobili, data l’opposta regola romana che veniva ancora rispettata (ubi meam rem invenio, ibi vindico). Si è quindi consolidata una soluzione che salva l’acquisto e, con quello, il mercato in generale. In moltissimi paesi questo meccanismo funziona solo se l’acquisto è fatto presso un commerciante o ad un’asta pubblica, in Italia vale invece anche tra privati.

Come tutelare i propri diritti di coerede?

Sia che ci si trovi dalla parte del parente coerede che intende usucapire un bene, sia che ci si trovi dal lato opposto del parente coerede che si vede portare via un bene ereditario da un altro che lo reclama per usucapione, è possibile tutelare i propri diritti avviando una mediazione civile. Questa consiste in un procedimento che interrompe la prescrizione e la decadenza dai propri diritti e permette di raggiungere un accordo stragiudiziale che ha il valore di una sentenza del Tribunale. E’ un procedimento dai costi ridotti e che permette vantaggiosi sgravi fiscali per le imposte che spesso sono alte in materia di successione.

Qualora un accordo non fosse possibile, si potrà sempre avviare un giudizio avanti al Tribunale competente trascrivendo nei registri pubblici la propria domanda così da tutelare i propri diritti anche nei confronti di eventuali terzi.

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